Il tempo di un respiro per un “Piccolo corpo” intrappolato nel Limbo

TRIESTE. Dopo l’anteprima alla Semaine della Critique di Cannes e un lungo tour festivaliero che ha portato la triestina Laura Samani a raccogliere premi e consensi in tutto il mondo, “Piccolo corpo” raggiunge la sala confermandosi tra i migliori esordi italiani della stagione.

Un film di impianto storico, ambientato ai primi del Novecento, eppure contemporaneo. Il viaggio di Agata, che ha dato alla luce una bimba morta, è un percorso di elaborazione del lutto ma anche di (femminile) autoaffermazione. La risposta viscerale di una donna che non si rassegna. Carne e istinto, dolore e speranza. Un atto di ribellione dettato dalla necessità di trasferire sul corpo la sofferenza dell’anima, ma anche di prolungare il contatto simbiotico con la figlia che ha portato in grembo e da cui non vuole e non può separarsi. Secondo la tradizione cattolica, la piccola, deceduta prima che potesse ricevere i sacramenti, è intrappolata nel Limbo. Ma qualcuno dice che in un monastero sulle montagne innevate della Carnia fanno i miracoli e i bambini possono essere riportati in vita per il tempo di un respiro, sufficiente per battezzarli e così sottrarli a un’eternità tra le ombre. Ancora convalescente, Agata (l’esordiente Celeste Cescutti, sublime per spontanea intensità) lascia di nascosto il paese di pescatori a nordest e si incammina con il corpo della figlia in una scatola. Addentrandosi nei boschi incontra diversa umanità, a volte ostile, ciascuno e ciascuna con le proprie ferite addosso. Tra questi Lince (Ondina Quadri), diffidente e solitario, che conosce il territorio e si offre come guida a un prezzo che non verrà mai pagato.

Samani cerca nei corpi, nei luoghi, nella pluralità della lingua, un senso di verità che trascende il concreto e si eleva su un piano universale, più vicina all’umano che al divino, più pagana che religiosa, comunque mistica, ma di un misticismo laico. Quella di Agata è una furia ostinata che non si spegne ma neppure diventa fanatismo o ossessione e, anzi, si risolve nel raggiungimento di un misericordioso nuovo stato di coscienza.