Sanità, boom del privato nel Trevigiano: in dieci anni +363 per cento. Business da 60 milioni di euro
TREVISO. La sanità pubblica negli ultimi due anni ha arrancato sotto la pressione del Covid rallentando se non paralizzando la gestione ordinaria. Chi ne ha beneficiato è stato il privato, accaparrandosi una gran fetta di quanti non potevano e non volevano rimandare appuntamenti o controlli. Ma la gara a due tra pubblico e privato è cominciata molto tempo fa, e negli ultimi anni ha visto un progressivo e marcato allungo di passo della seconda rispetto alla prima. Nella Marca cliniche, poliambulatori, centri specialistici si sono moltiplicati raggiungendo oggi un business da 60 milioni circa di fatturato annuo, 138 poli e 408 dipendenti. Il quadrupolo di 10 anni fa.
La nostra indagine
Per quantificare il boom della sanità privata la tribuna di Treviso è partita dalla selezione dei codici Ateco relativi alle attività economiche del settore sanitario. Non sono molti e differenziano vari settori, dall’assistenza sociale ai dentisti, dalla medicina estetica alle attività mediche generali. Abbiamo selezionato i codici che riguardano specificatamente le prestazioni sanitarie, ovvero visite generiche e specialistiche, dalla dermatologia all’oculistica, prestazioni radiologiche ed esami “ordinari”. Sulla base di questi abbiamo richiesto una consultazione dei dati depositati in Camera di Commercio ed un confronto, secondo le stesse voci, sull’anno 2011. Il risultato è la dimostrazione matematica di come il privato, nella sanità, abbia intercettato e imbastito un affare milionario.
I numeri
Nel 2011 il totale delle “unità locali” ovvero le aziende, che operavano nella sanità para-ospedaliera, ovvero offrendo privatamente i servizi e le visite del pubblico, erano 38 in tutta la provincia. Con maggiore concentrazione ovviamente nei comuni maggiori. Tra queste 29 studi medici specialistici, sei laboratori radiologici e un unico laboratorio analisi chimiche. C’era solo un centro studi di medicina generale e un unico “centro di prestazioni svolte da chirurghi”, ovvero di medici specialisti in ambito chirurgico con facoltà di intervento. Dieci anni dopo, al 31 dicembre 2021, il privato è risultato ingigantito: da 29 a 107 i poliambulatori; da 1 a 5 gli studi di medicina generale; quattro nuovi centri di estetica (dieci anni prima inesistenti); due laboratori di igiene e profilassi (prima inesistenti). A moltiplicarsi anche i laboratori di analisi, vista la richiesta sempre crescente di esami che proveniva dai vari e nuovi centri: sono passati da 1 nel 2011 a 15 nel 2021. Unico calo per la radiologia , in alcuni casi inglobata da altri settori. Risultato finale? Erano 38 i centri privati che concorrevano al pubblico, sono diventati 138 (+363% di crescita).
Sedi centrali, catene e milioni
I dati di Unioncamere evidenziano come il business, fiorentissimo, abbia creato molte aziende singole, ma anche molti centri d’impresa che si sono replicati sul territorio con più sedi e identico format. Nelle 138 unità locali infatti, 83 risultano essere sedi di impresa (ovvero aziende residenti nel luogo dove operano), mentre ben 55 risultano unità locali “dipendenti”, ovvero strutture collegate ad imprese che hanno diversa sede legale. Quanto guadagnano? Il fatturato medio appurato nel 2019 – ultimo dato disponibile – valeva la bellezza di 60 milioni di euro.
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«Troppi tagli sugli ospedali. Si rischiano cure per pochi»
Il dottor Attanasio è tra i fondatori dell’assistenza domiciliare di Asolo e nel Triveneto «Oggi lavoro per un gruppo, fa male vedere la situazione da fuori. Arriveranno fondi? Spero»
L’aria ha iniziato a cambiare vent’anni fa. I tagli alla sanità pubblica, le pressioni politiche, i piccoli ospedali che venivano smantellati. Decisi di andarmene». Era il 2012 quando il dottor Alessandro Attanasio lasciò l’ospedale San Giacomo di Castelfranco e iniziò a lavorare nel privato all’interno dell’ambulatorio radiologico Bressan, oggi acquisito dal gruppo Alliance Medical. Geriatra dal lunghissimo cursus honorum, il dottor Attanasio è stato tra i fondatori dell’Assistenza domiciliare distrettuale nell’ex Ulss di Asolo e del primo servizio di Ospedalizzazione domiciliare del Triveneto, ma ad un certo punto capì che qualcosa si era “rotto”.
Quali le avvisaglie?
«Quando arrivai nel 1977 il San Giacomo era un ospedale d’eccellenza di medie dimensioni, oggi con lo Iov è diventato un polo di eccellenza oncologica. Ma prendiamo ad esempio l’area geriatrica, prima che me ne andassi c’erano sei medici, negli ultimi anni ne sono rimasti due. Non prendo posizione sulla scelta fatta, ma di certo i pochi colleghi che sono rimasti devono reggere dei carichi di lavoro pesantissimi».
Ci sono altri fattori che causano l’esodo dei camici bianchi dal pubblico verso il privato?
«La sanità pubblica è allo stremo perché non ha risorse adeguate. Tanti sono i paradossi. È una cosa folle che giovani medici laureati non possano specializzarsi subito perché non ci sono abbastanza posti. Anche i compensi del pubblico andrebbero rivisti per evitare che i migliori se ne vadano, spesso all’estero. Non accade solo in provincia di Treviso, il problema attanaglia tutta Italia e per troppo tempo è stato giustificato dicendo che la sanità pubblica costava troppo: una bugia. In Europa siamo dietro a Francia e Germania per spesa in questo ambito».
Un altro controsenso è che il pubblico per sopperire alle carenze di professionisti finisca per rivolgersi al privato per assumerli in urgenza?
«È vero, durante l’emergenza Covid sono stato assunto un’altra volta dall’Ulss come libero professionista in pensione per sei mesi, e una seconda volta per altri sei mesi nella Medicina di Montebelluna».
Da privato, è stato richiamato a lavorare nel pubblico da cui era uscito perché il pubblico aveva bisogno di personale. È già eloquente. E cos’ha trovato?
«Mi sono reso conto di quanto fossero dure le condizioni di infermieri e medici, l’intensità dei turni. Non sono situazioni isolate, conosco tanti colleghi che come me hanno lasciato il pubblico per il privato, ortopedici, ginecologi, uno specialista che ha preferito fare il medico di base. Questo è il motivo per cui le aziende sanitarie non trovano più figure di pronto soccorso e anestesisti. Il clima nei reparti è pesante, la medicina difensiva dilaga e la pandemia non ha fatto che accentuare il disagio di tutti».
Tra gli effetti dell’emergenza Covid, l’allungarsi delle liste d’attesa per visite e interventi, con il risultato che i pazienti che possono permetterselo si rivolgono al privato per ottenere la prestazione in tempi rapidi, chi non può aspetta, come affrontare questo divario?
«Mi piange il cuore a vedere che alcuni pazienti fanno enormi sacrifici per potersi pagare una visita e vanno in crisi quando gli si propone qualche altro accertamento da fare. E poi va detto che il privato non è in grado di seguire tutta la patologia, ad esempio gli screening, le terapie oncologiche, gli interventi più impegnativi».
Secondo lei, come se ne esce?
«Entrando nell’ottica di spendere di più per la sanità pubblica, o si fa così o le cose nel nostro Paese finiranno male, tra rinunce dei medici e pazienti che avranno difficoltà di accesso alle cure. C’è grande attesa per i fondi del Pnrr che dovrebbero risolvere tutto, lo spero ma, ammetto, ho qualche dubbio». —