Imone Marinelli, coordinatore nazionale della Cgil per il settore dell’automotive sta rientrando da Bologna, era all’assemblea regionale del settore. Gli incontri, che toccheranno tutte le regioni, si chiama Safety car. Un nome evocativo per un settore che ha bisogno di essere garantito, di avere un piano straordinario di messa in sicurezza. «Stiamo condividendo con il gruppo di delegati le proposte da portare a un tavolo nazionale. Se la situazione rimane così non potremo evitare di fermarci. La mobilitazione non può più essere rimandata». Qual è la reale situazione del settore?
Simone Marinelli, coordinatore nazionale della Cgil per il settore dell’automotive sta rientrando da Bologna, era all’assemblea regionale del settore. Gli incontri, che toccheranno tutte le regioni, si chiama Safety car. Un nome evocativo per un settore che ha bisogno di essere garantito, di avere un piano straordinario di messa in sicurezza. «Stiamo condividendo con il gruppo di delegati le proposte da portare a un tavolo nazionale. Se la situazione rimane così non potremo evitare di fermarci. La mobilitazione non può più essere rimandata».
Qual è la reale situazione del settore?
«C’è molta preoccupazione anche per il fatto che dalla riunione di oggi non sono emerse le risposte che ci aspettavamo. Abbiamo chiesto di discutere un intervento strutturale per il settore: si parla di incentivi e si parla di energia ma manca tutta la strategia industriale per il Paese. Mancano le forniture per garantire la produzione, c’è tutto il tema della transizione energetica che va affrontato».
Cosa serve per la Cgil?
«Un piano strategico da elaborare insieme: governo, parti sociali, imprese. Si deve stabilire cosa facciamo in Italia da qui al 2035. Abbiamo bisogno di investimenti, di ricerca e sviluppo, di impegni pubblici e privati. Altrimenti perderemo la capacità innovativa che ci ha sempre contraddistinto: abbiamo bisogno di strumenti straordinari per accompagnare nella transizione aziende e lavoratori».
I lavoratori di Gkn, prima del passaggio di proprietà, avevano parlato dell’ipotesi di creare stabilimenti pilota pubblici per investire sui mezzi elettrici e sulle nuove energie.
«Non credo servano stabilimenti-pilota. Servono politiche coordinate per il settore».
Potremmo giocare in difesa. Riconvertire i lavoratori o accompagnarli alla pensione e rassegnarci a un’industria che migra all’estero.
«Sarebbe una perdita non solo economica ma anche strategica. L’automotive è l’industria dell’industria. Con la siderurgia, l’informatica, l’elettronica è uno di quei comparti che guidano l’innovazione e sono la struttura di un Paese. E comunque in Italia è tradizionalmente un settore molto, molto forte».
Se siamo a questo punto ci saranno delle responsabilità?
«Sì, da parte della politica e dei vari governi. Non da oggi. La politica ha scelto di non fare più piani industriali e abbiamo lasciato il mercato all’iniziativa delle multinazionali».
Quali sono le proposte che farete a un eventuale tavolo del settore?
«La Francia e la Germania hanno investito qualche miliardo sopra. Si devono individuare risorse pubbliche e finanziare investimenti che vadano verso la transizione».
Siamo in ritardo. Forse troppo.
«Sì, lo siamo rispetto agli altri paesi europei. Siamo rimasti il fanalino di coda. Ma possiamo recuperare rapidamente se facciamo le cose fatte bene. Serve una volontà che per ora non vediamo. In Italia stiamo rischiando di perdere 70mila posti su 250mila».
Conosce la Toscana. Qual è la situazione secondo lei?
«Vitesco è lo stabilimento che rischia di più per il tipo di produzione che fa e per le dichiarazioni aziendale già fatte sugli esuberi. La camperistica pur vivendo un boom di richieste per la difficoltà di avere forniture non riesce ad andare avanti: c’è un boom della domanda ma i lavoratori sono in cassa integrazione. Sulla componentistica non abbiamo segnali di forte tensione».