Strage di Bologna, l’accusa punta tutto sull’ex moglie di Paolo Bellini: «Merita credibilità»
Seconda giornata di requisitoria fiume dei procuratori: «È lei la prova principe del processo, non le perizie»
REGGIO EMILIA. Maurizia Bonini, ex moglie di Paolo Bellini, «merita una patente di assoluta credibilità» perché «demolisce l’alibi dell’ex marito, che lei stessa aveva contribuito a creare. La sua testimonianza è andata oltre le nostre aspettative». Hanno puntato con convinzione sulla testimone chiave i sostituti procuratori di Bologna Nicola Proto e Umberto Palma, ieri a Bologna nella seconda giornata di requisitoria fiume dell’accusa (presente in aula la procuratrice generale reggente di Bologna, Lucia Musti). È alle battute finali il processo sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 che vede come principale imputato proprio Paolo Bellini, la Primula Nera reggiana ed ex Avanguardia Nazionale.
Secondo i procuratori generali sono numerosi gli elementi che dimostrano la veridicità di quanto dichiarato in questo processo da Bonini, che dopo aver sostenuto l’alibi dell’ex marito per quarant’anni ha cambiato versione, affermando che quel giorno Bellini non si trovava al delfinario di Rimini alle 9.30 – circostanza che avrebbe reso impossibile la sua presenza in stazione a Bologna alle 10.25 – ma che raggiunse i familiari nella città romagnola intorno all’ora di pranzo. In primo luogo, ha ricordato l’accusa, in un’intercettazione ambientale dell’11 luglio 2019 la donna, parlando con il figlio Guido «in un contesto protetto», ovvero a casa sua, «ha riconosciuto per ben tre volte Bellini in una foto pubblicata sui giornali ed estrapolata dal video girato in stazione il 2 agosto 1980 dal turista svizzero Harold Poltzer».
Sempre in quei giorni, durante una perquisizione della Digos, la donna fece una dichiarazione spontanea a una poliziotta, dicendo già allora che il giorno dell’attentato Bellini era arrivato a Rimini verso l’ora di pranzo. Infine nella testimonianza resa il 21 luglio scorso «Bonini è andata oltre a quello che aveva detto a noi: ha riconosciuto l’ex marito nel video senza ombra di dubbio e ha retto in maniera straordinaria al durissimo controesame della difesa, senza cedere di un millimetro». Peraltro, hanno sottolineato i procuratori, «venire qui ad ammettere che il marito era in stazione a Bologna e che lei aveva mentito dev’essere costato molto alla donna». Quest’ultima mentì per proteggere il marito da un lato a causa delle pressioni del suocero Aldo Bellini, definito dalla stessa Bonini «un padreterno» e, dall’altro, per la paura nei confronti del marito, oltre che per una naturale riluttanza («il mio cuore rifiutava l’idea che fosse stato mio marito», aveva detto in aula).
Come si concilia tutto questo con le due perizie fisionomiche contrastanti?
«Dobbiamo ricordarci una cosa: queste consulenze non sono la prova principe del processo – ha proseguito l’accusa –. Questo processo dipende dalla credibilità maggiore o minore che voi date a chi ha riconosciuto Bellini nel filmato in stazione, ovvero Maurizia Bonini, che ha riconosciuto l’ex marito in privato e in dibattimento. Non fatevi fuorviare da un elemento che noi abbiamo smontato e criticato». Il riferimento è alla perizia affidata dalla Procura all’ingegner Giovanni Tessitore e alla consulenza prodotta dalla difesa di Bellini: sono state messe a confronto delle foto dell’epoca dell’imputato e le immagini dell’uomo ripreso nel video girato in stazione a Bologna quel giorno dal turista tedesco, tuttavia le due analisi sono giunte a risultati opposti. Per la procura generale le conclusioni di Tessitore portano ad un giudizio di «compatibilità totale» tra Bellini e l’uomo che compare nel video, contrariamente a quanto sostenuto dai consulenti della difesa, che secondo i procuratori generali hanno utilizzato «un metodo sindacabile» servendosi di «fotografie non congrue» per escludere alcuni elementi di compatibilità, come «la fossetta giugulare».
Nella parte finale l’accusa si è soffermata anche sul profilo del killer, imputato insieme a Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia. Secondo la Procura generale il ruolo di Avanguardia Nazionale è fondamentale nella ricostruzione della strage perché «rappresenta l’anello di congiunzione tra il vertice finanziario-organizzativo dell’attentato (rappresentato dalla P2) e la figura di Paolo Bellini, che fu un militante operativo di Avanguardia nazionale quantomeno dagli anni ’70».
Bellini «è stato un killer di Avanguardia Nazionale, protetto dai servizi segreti, subito dopo l’omicidio di Alceste Campanile». Per la richiesta di condanna da parte dell’accusa occorrerà attendere mercoledì prossimo.
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