Draghi e le due guerre: «Putin, basta soprusi. Covid, riapriamo tutto»
Nella giornata fiorentina il presidente del Consiglio traccia la linea del governo: «Non rinnoveremo lo stato d’emergenza, finiranno tutte le restrizioni». «Le prevaricazioni sul fronte ucraino non saranno più tollerate»
FIRENZE. Se le diplomazia americana guardava all’Italia come all’anello debole dell’Europa, ora dovrà ricredersi. Mario Draghi è atterrato a Firenze da poco più di un’ora. La visita allo stabilimento Ferragamo, uno dei marchi internazionali della moda, è stata quasi una piacevole “distrazione” dalla crisi ucraina che Vladimir Putin ormai sembra aver spinto su una china irreversibile. Per questo quando arriva nel convento domenicano di Santa Maria Novella, di fronte a 58 vescovi, patriarchi e prelati provenienti da 20 paesi del Mediterraneo, il culmine del suo discorso introduttivo alla conferenza organizzata dalla Cei sulla “Frontiera di pace” è un richiamo durissimo alla Russia. Il premier veste i panni del leader europeo: «Gli eventi in Ucraina – dice – ci portano a ribadire che le prevaricazioni e i soprusi non devono essere tollerati». Rivolgendosi ai vescovi, il presidente del Consiglio cita Papa Francesco che arriverà a Firenze domenica e auspica che il messaggio di pace della Chiesa «risuonare forte laddove si cerca lo scontro e si rischia la guerra».
Invitato da Dario Nardella, Draghi sceglie Firenze quasi come un luogo simbolico per “liberare” il Paese. Un’ora dopo, trasferendosi dalla basilica all’auditorium del Teatro del Maggio Musicale, il capo del governo sblocca l’Italia dalle limitazioni imposte dalla pandemia. E dopo aver ricordato i miglioramenti della curva «grazie alla campagna vaccinale», conferma che il calo netto dei contagi «ci offre margine per cominciare a togliere le restrizioni». E assicura: «Non è intenzione del governo rinnovare lo stato d’emergenza». Così, dopo il 31 marzo «non sarà più in vigore il sistema delle zone colorate. Saranno eliminate le quarantene da contatto nelle scuole. Cesserà ovunque l’obbligo di mascherina all’aperto e quello di indossare l’Ffp2 in classe». Non solo. «Sarà la fine del certificato verde rafforzato a partire dalle attività all’aperto, ma il nostro obiettivo è quello di riaprire tutto al più presto», dice suscitando un’ovazione dell’auditorium.
È il messaggio di speranza agli italiani nelle ore difficili di una crisi bellica che promette di acuire gli effetti di quella energetica. Draghi si fa interprete della linea europea della fermezza. E se già martedì il suo richiamo alla pace era stato netto, questa volta traccia quasi una linea di confine. Così, se il fatto che le prime sanzioni decise dai Paesi dell’Ue fosse blande finora non fosse dispiaciuto a Roma, questa volta l’escalation nel Donbass lascia pochi margini a una posizione morbida. Alla timidezza è subentrato il rigore.
Certo, le diplomazie sono ancora al lavoro, ma che il premier abbia congelato il suo viaggio a Mosca è significativo. Gli incontri bilaterali con i vertici russi sono sospesi finché «non arriveranno segnali di allentamento della tensione», dice anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Una dichiarazione apostrofata dal Cremlino «come una strana idea di diplomazia», i «partner occidentali devono imparare a usare la diplomazia in modo professionale», sferzano i russi. È chiaro che di fronte a un’invasione dell’Ucraina l’Occidente, Europa compresa, non potrebbe più limitarsi a “punizioni” timide, che per ora colpiscono un gasdotto, due grandi banche russe, la maggioranza dei deputati della Duma e una trentina di entità e individui.
Da giorni i retroscena raccontano di una linea sottile su cui camminerebbe il lavoro della diplomazia italiana. E dall’America, del resto, è arrivato l’affondo più bruciante, con il Wall Street Journal che racconta delle esitazioni italiane legate proprio ai timori per le ripercussioni economiche che subirebbe il Paese se sprofondassero i tentativi di dialogo. Palazzo Chigi non è più intenzionato a lasciar passare la narrazione dell’Italia come l’anello debole. Non tanto per non cedere a Salvini, ma per non prendere l’autorevolezza conquistata proprio dal premier in Europa. Draghi ha già messo in conto un ricatto energetico di Putin. Del resto, oggi si terrà un Consiglio europeo straordinario a Bruxelles con i leader, proprio per valutare le prossime mosse e nuove sanzioni alla luce del peggioramento del quadro militare. Per questo il presidente parla anche di transizione ecologica, clima, dice che «bisogna puntare a favorire l’occupazione giovanile e a contrastare il cambiamento climatico», e annuncia per l’Italia un “piano”. Non sono sfuggite al premier le immagini dei monumenti “spenti” in segno di allarme per l’aumento dei costi di luce e gas. «Incrementiamo la produzione di energia rinnovabile e anche quella di gas».
Ma il convegno della Cei dà centrato su tolleranza, pace e integrazione, dà a Draghi l’opportunità di sollecitare Bruxelles su una gestione dei flussi migratori più equa e condivisa. «Un fenomeno che attualmente porta con sé enormi rischi per chi arriva in Europa dal Nord Africa o dai Balcani. E che al momento rappresenta un problema per i Paesi di origine, che perdono energie vitali, e per i Paesi di arrivo, che spesso faticano a integrare i nuovi arrivi, ad accoglierli con dignità». Serve, a questo scopo, uno scatto dell’Ue. «Una gestione condivisa, equilibrata e umana. Condivisa perché, senza un’assunzione di responsabilità collettiva, l’azione europea non potrà mai essere giusta. Equilibrata, perché non basta contrastare i flussi illegali, ma serve curare con attenzione l’accoglienza. E umana, perché non possiamo essere indifferenti rispetto alle sofferenze dei migranti».
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