Un libro spettacolare racconta per immagini la Venezia segreta, nelle case dei privati
Dice che è stato come un parto, però lungo due anni; un quinto figlio meno faticoso degli altri perché senza l’età ingrata dell’adolescenza, covato con lo sguardo e con la grazia, reso vivo dalle fotografie una più bella dell’altra di Mattia Aquila, la prefazione di Pierre Rosenberg, e pagina dopo pagina, la Venezia nascosta dietro i portoni dei palazzi, nei salotti, in fondo agli armadi, dentro i cassetti, sulle tavole apparecchiate, nell’intimità dei bagni.
Francese, una laurea in Giurisprudenza, fondatrice di due compagnie teatrali, responsabile cultura dell’Alliance française, autrice di “Soul of Venezia. Guida alle 30 migliori esperienze”, della City Guide su Venezia di Vuitton, Servane Giol racconta la grande bellezza della laguna nel volume edito da Marsilio Arte “Un invito a Venezia” e, come tutti gli inviti, anche quello del titolo conduce a una festa, sicuramente per gli occhi.
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Dimora dopo dimora, incluso Palazzo Falier in cui Servane abita insieme al marito Giovanni Giol, il libro si apre sul «monopolio dello straordinario» della città, ma con uno sguardo diverso, fresco e curioso; quasi un inchino a quell’art de vivre tenuta insieme dal filo dell’acqua e dunque possibile solo a Venezia.
I ricevimenti di Giuseppe Volpi, il ballo di don Carlos de Beistegui a Palazzo Labia, il matrimonio di Madina Arrivabene Valenti Gonzaga e Luigi Visconti di Modrone; i menu dei lunch, i tovaglioli ricamati, i cartoncini scritti a mano e gelosamente custoditi, le porcellane, i vetri, gli argenti, le tappezzerie, le alzatine, le posate, i ventagli, i ritratti, gli specchi, i merletti che sono passati di generazione in generazione e talvolta, nei casi più felici, fino a giorni nostri.
Com’è nata l’idea del libro?
«È nata da una domanda che mi sono fatta spesso, e cioè come fanno i veneziani, nella città più fotografata del mondo, a restare nascosti? Tutti ammirano le facciate dei palazzi, ma nessuno, o pochissimi, vedono come abitano i veneziani. Volevo mostrare questa vita parallela».
Il risultato?
«Un viaggio straordinario fatto di sei mesi di ricerche negli archivi privati degli Arrivabene e dei Frigerio Zeno, che mi hanno trasmesso la quotidianità del secolo scorso e nei quali ho trovato un’infinità di cose, come le fatture della gioielleria Missiaglia o gli articoli sugli eventi mondani. Poi, un anno e mezzo per organizzare le foto».
Quanti palazzi ha visitato?
«Una quarantina».
Il preferito?
«Palazzo Papadopoli, perché racchiude tutte le eccellenze dell’artigianato veneziano. Gli specchi e gli stucchi più belli, i primi lampadari elettrificati di Murano, le stanze tappezzate con stoffe o con il cuoio in un unico luogo».
Nessuna porta è rimasta chiusa?
«No, sapevo esattamente a chi potevo chiedere, qualcuno mi ha solo chiesto di non mettere il suo nome».
Un’abitazione particolare?
«Sicuramente quella della contessa Gozzi alla Giudecca, arredata con i tessuti Fortuny, dove tutto è rimasto come se la padrona di casa fosse appena uscita».
Qualcosa che non si aspettava di trovare?
«Tra le molte sorprese, è stato straordinario ritrovare il costume e i gioielli originali indossati da Marjorie Lucarda al Ballo Beistegui, per il quale la gioielleria Nardi fece il ciondolino per il braccialetto da regalare agli ospiti».
Lei racconta non solo un passato favoloso, ma anche il presente con una passione che a volte manca agli stessi residenti.
«Credo che i veneziani si siano rinnamorati della propria città durante la pandemia , quando hanno riscoperto, ad esempio, la bellezza di vogare. Il tempo di Venezia è tutto suo, passato e presente sono un’unica cosa. Sicuramente, in ogni modo, vedo Venezia con gli occhi di una turista».
Spesso i turisti apprezzano di più quello che l’abitudine rischia di sciupare.
«Invidio molto chi scopre questa città per la prima volta. Anch’io vorrei vedere Venezia con quello sguardo nuovo, che possiede un luccichio speciale».
Come vede una francese i veneziani?
«Mi hanno sempre meravigliato. Questa è una città in cui non si può essere pigri, in cui si cammina sempre. Ho una grande ammirazione per gli abitanti che escono anche se piove a dirotto, vanno a fare la spesa, a qualsiasi età, sempre attivi».
Eppure…
«Eppure non capisco perché una delle frasi che sento più spesso è: Venezia è bella ma non ci vivrei. Ma perché? Vivere a Venezia è molto più semplice di quanto sembri. È quello che le città moderne cercano di fare. Una città senza automobili, senza solitudine. Esci di casa e incontri gli amici senza darti appuntamento. Una dimensione umana perfetta».
Come vive una francese a Venezia?
«Molto spesso mi dicono che sono più veneziana dei veneziani».
Le pubblicazioni su Venezia abbondano, cos’ha di diverso questo libro?
«Credo il modo in cui è stato mostrato il lato intimo, privato della città. Il libro apre le porte dei palazzi, invita a entrare, accoglie gli ospiti».
Cosa non le piace di Venezia?
«Da buona francese non mi piace il pane. Non trovo mai una vera baguette»
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La presentazione a Venezia
“Un invito a Venezia” di Servane Giol (Marsilio Arte, pp 304, 65 euro) viene presentato martedì 6 dicembre alle 17.30 al Museo Correr di Venezia. Dialoga con l'autrice Roberto De Feo, interviene anche il responsabile del Correr, Andrea Bellieni. Nelle foto di ©Mattia Aquila tratte dal libro, sopra dettagli a Palazzo Falier e a lato Palazzo Polignac. In alto a destra Servane Giol (PH Lara Vianello) e la copertina del libro.
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Alcune delle splendide immagini di Mattia Aquila
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