Restare inchiodata dieci anni alla croce di un’inchiesta giudiziaria e uscirne senza neppure un processo. Quali altre meraviglie ci dovrà ancora mostrare la giustizia italiana prima che si metta mano alla sua radicale riforma? Uno crede di averle viste tutte e invece vai a scoprire che il caso dell’ex-presidente (dal 2000 al 2010) della giunta dell’Umbria Maria Rita Lorenzetti è davvero speciale. Prosciolta dopo dieci anni trascorsi tra richieste di archiviazioni, imputazioni coatte e proscioglimenti senza mai accedere al tribunale. Tutto finito davanti al Gup: «Il fatto non sussiste». Tra morte e resurrezione dell’imputata ci sono anche 15 giorni passati agli arresti domiciliari.
Maria Rita Lorenzetti è stata presidente dell’Umbria
Parliamo di reati come associazione a delinquere, corruzione, abuso d’ufficio e persino traffico illecito di rifiuti. Nessuno commesso durante il mandato di governatrice. Già, tutte le condotte incriminate risalgono al tempo in cui la Lorenzetti, donna forte del Pds-Ds-Pd in Umbria passò a presiedere Italferr, società di ingegneria controllata da Ferrovie dello Stato. Siamo nel 2012 e l’attenzione della Procura di Firenze (poi il fascicolo passerà per competenza a Roma, purgato del reato associativo e di una delle accuse di corruzione) punta il passante ferroviario fiorentino dell’alta velocità. L’epilogo nei giorni scorsi con la richiesta di proscioglimento anche per l’ultima accusa di corruzione rimasta in piedi.
A richiederlo, gli stessi pm capitolini, resisi finalmente conto che l’impianto accusatorio non avrebbe retto in un processo. Tutto è bene quel che finisce bene. Tranne che il danno reputazionale subito dalla Lorenzetti, ormai irrimediabile. E sì, perché in questi casi il copione prevede che ad ogni accusa corrisponda un titolo di giornale con annesse polemiche e cori di tifosi, in cui a prevalere è sempre chi grida “a morte, a morte“. Per non parlare delle due settimane ai domiciliari. Ne uscì solo dimettendosi da Italferr. Nel comminarle la misura cautelare, il Gip parlò di «articolato sistema corruttivo». Ora sappiamo che non è così. Ma il processo mediatico, si sa, non conosce assoluzioni. E per chi è pubblicamente esposto, spesso è l’unico che conta.
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