Insulti e minacce: aperto tra le tensioni il processo per l’omicidio di Robert, strangolato a 17 anni

TRIESTE C’è voluto l’intervento dei carabinieri per sedare gli animi ed evitare un’aggressione. Del padre dell’assassino, innanzitutto: un uomo di origini marocchine che se ne stava seduto a testa bassa tra i banchi dell’aula di tribunale, in silenzio, con la mascherina tirata sul naso più per nascondere il volto che per il rischio Covid.

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«Maiali, maiali, siete peggio delle bestie, dovete morire», si è sentito urlare una, due, tre volte. Lui, chiuso nel suo dignitoso dolore – il dolore di un papà che ha un figlio assassino – è rimasto a capo chino.

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Quelle urla, disperate, rabbiose, provenivano dai parenti di Robert Trajkovic, il diciassettenne triestino di famiglia serba strangolato la notte del 7 gennaio scorso con un laccio al collo. Insulti che – c’era da aspettarselo – non sono stati poi risparmiati a chi quella notte aveva commesse l’atroce omicidio, il ventiduenne Alì Kashim, lunedì in aula.

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I famigliari della giovane vittima – difesi dagli avvocati Ivana Busatto e Gabriella Frezza (i due legali hanno tentato di calmare gli animi a più riprese) hanno rivolto analoghe parole pure ai legali dell’imputato, gli avvocati Mariapia Maier e Antonio Cattarini. Mancava poco che non fossero aggrediti anche loro.

È iniziato nel peggiore dei modi lunedì mattina il processo in Corte di assise sull’omicidio di Robert Trajkovic (presidente il giudice Enzo Truncellito, a latere il giudice Camillo Poilucci). I fatti sono noti: il ragazzino, quella notte di gennaio, era stato trovato morto con un laccio al collo nel sottoscala dello stabile di via Rittmeyer 13.

Un delitto assurdo, motivato da una folle gelosia: Robert aveva iniziato a frequentarsi con la ex fidanzata di Alì, una diciannovenne conosciuta durante una festa di Capodanno (la posizione della ragazza, inizialmente indagata per favoreggiamento – era difesa dall’avvocato Riccardo Seibold – è stata archiviata). I due si incontravano tra il sottoscala e il pianerottolo dello stabile dove la giovane alloggiava all’epoca.

Quel venerdì, a tarda sera, Alì aveva atteso che arrivasse Robert, per picchiarlo. Le tracce di sangue trovate dagli investigatori sul muro della scalinata dell’atrio testimoniavano una colluttazione tra i due, finita con un laccio stretto alla gola dell’adolescente. Il corpo, poi, era stato nascosto nel sottoscala dietro a un materasso. Sul caso aveva indagato il pm Lucia Baldovin.

Alì Kashim, giacca scura, jeans strappati, barba curata, è venuto in aula portato dagli agenti di Polizia penitenziaria e fatto accomodare dietro alle sbarre e, poco dopo, spostato a fianco dei legali su loro specifica richiesta.

Le tensioni si sono verificate a inizio processo, durante la pausa e alla fine. Nelle prossime udienze la vigilanza delle forze dell’ordine – erano presenti i militari della Stazione di via Hermet, abitualmente in servizio in Foro Ulpiano – verrà intensificata.

«Inaccettabile che il nostro ruolo di difensori sia interpretato come di soggetti che giustificano il reato – ha commentato l’avvocato Maier, decisamente amareggiata per l’accaduto – e che veniamo identificati con il reato. Rappresentiamo una figura di garanzia, facciamo il nostro lavoro nel massimo rispetto delle persone offese e delle loro sensibilità».