Sudafrica, il richiamo della natura (e non solo)
Incontri ravvicinati con predatori e animali selvaggi, montagne rigogliose, tratti sconfinati di oceano blu, spiagge abitate dai pinguini, ma anche città dall’anima europea. Viaggio alla «fine» del continente, una meta che sta conquistando gli italiani amanti dell’avventura.
da Cape Town
Mentre il sole ancora dorme, il telefono della stanza fa da sveglia potente. Sono le 5.30 del mattino, la conversazione si rivela surreale: «Buongiorno, sono il tuo ranger, è ora di partire». Sembra un sogno e poco dopo lo diventa, ma a occhi semiaperti: imbacuccati a dismisura per il gelo dell’alba, con il sostegno fragile di un rapido caffè, si sale a bordo di una jeep senza sportelli né finestrini. Pochi minuti di strada sterrata e si finisce dentro un mondo primordiale: giraffe imponenti piluccano con regale avidità dagli alberi, poi si allontanano esibendo il loro basculante sculettare; un elefante si fa una doccia con il fango, un rinoceronte scorta guardingo il proprio cucciolo verso una fonte d’acqua. Con la giusta pazienza, durante un’uscita successiva, si riesce a osservare un leone che scorrazza beato mentre ruggisce minaccioso (il brivido supremo che fa correre lungo la schiena è da istinto ancestrale), un party di ippopotami assembrati nella fanghiglia, gruppi di bufali e antilopi, un ghepardo narcolettico, uno sciacallo solitario.
Succede in Sudafrica, nella Shamwari Private Game Reserve, un’area di 250 chilometri quadrati a un’ora da Port Elizabeth. Ospita oltre 5 mila animali, la sua filosofia è interferire il meno possibile con loro, lasciare che facciano branco o si sbranino a vicenda quando e quanto è necessario, preservarli dal bracconaggio e altre interferenze che non c’entrano nulla con l’ordine naturale delle cose. In questi spazi verdi sconfinati s’incontrano un centro di recupero per le bestiole ferite o traumatizzate, che saranno rimesse in libertà il prima possibile; recinti dedicati a leopardi e altri grandi felini in arrivo da circhi, ville di ricconi e altre situazioni di cattività che hanno deturpato il loro carattere. Sono gli unici a ostentare aggressività: l’uomo è stato il padrone e il loro peggior nemico. Non potranno uscire, sarebbero fuori controllo, almeno sono trattati con rispetto. Non calpestano più sabbia o pavimenti, ma la terra molle cui appartengono. I safari sono un inno alla gioia, un’esperienza assoluta, un concentrato di meraviglia e adrenalina senza una punta d’artificialità. L’incertezza regna, il fallimento è in agguato: sono gli animali a decidere se e quando mostrarsi. È il pezzo forte, l’attrattiva principe di questo Paese che conclude l’Africa, ne racchiude l’eredità e il potenziale, mostra il compromesso di abbracciare il presente fino in fondo.
Le città, su tutte Cape Town, hanno un lato addomesticato, quartieri che ricordano l’Europa o gli Stati Uniti: dal Waterfront con il grande centro commerciale, la ruota panoramica e la colonna sonora dei leoni marini che fa subito San Francisco, fino a Woodstock, concerto ribelle di street art, gallerie, boutique e altre divagazioni in salsa hipster per chi sembra avere tanti soldi da spendere. Mai quanto gli abitanti di Camps Bay, la Malibu locale, con i ristoranti affacciati su un tramonto struggente e le ville di design che costano milioni. Soprassalti di contemporaneità, stemperati dalle urgenze della quotidianità: l’acqua calda non sempre presente, i blackout programmati, fino a 12 ore complessive al giorno. Poco male, gli hotel hanno i generatori e, in ogni stanza, offrono lampade a batteria con la porta usb per ricaricare il cellulare. C’è pure una app che avverte quando se ne andrà la luce, così si riesce a organizzarsi.
Nessuna particolare privazione, la maggior parte del tempo lo si passa all’aria aperta, lontano dai centri urbani, dove lo smartphone comunque non prende perché il segnale è schermato da montagne, rocce e altre barriere maestose. È questo spirito selvaggio l’incanto del Sudafrica, che sta stregando gli italiani: a fine 2022, complice anche la fine delle restrizioni imposte dalla pandemia, le presenze tricolore erano in aumento del 392 per cento rispetto a 12 mesi prima. Un boom facile da comprendere: è il magnetismo di un angolo di mondo in cui l’inconsueto si sposa con la cordialità estrema degli abitanti, sottolineata da un sorriso perenne. Qui l’accoglienza di lusso convive con una povertà ben percepibile: le distese delle baraccopoli, i pedoni sulle autostrade che non possono permettersi l’autobus, i lavoratori ammassati agli incroci in cerca di un lavoro occasionale. Amarezze addolcite dall’ipnosi del vortice della natura: ecco Table Mountain, che veglia su Cape Town, con i suoi sentieri arrampicati verso la cima, una biodiversità esagerata che produce un arcobaleno per la vista. Senza obblighi di fiatone: una funivia risparmia la necessità di scarpinare.
Una giornata intera la si può dedicare alla visita della costa, guidando verso sud fino al Capo di Buona Speranza, nome che supera le promesse: si sale fino a un faro, si spia l’oceano blu che schiaffeggia la riva senza mai stancarsi. Il traffico delle auto è rallentato da una processione di struzzi, a Boulders Beach ci si ferma non per fare il bagno, ma per osservare gli abitanti che si godono il sole: una colonia di pinguini piccoli e vezzosi, che amoreggiano, giocano o sonnecchiano. Come gli animali del safari, si avvicinano all’uomo come mai accade in zoo, acquari o riserve occidentali. L’Africa ha il suo ethos e, incredibilmente, anche i visitatori paiono intuirlo e rispettarlo.
Spingendosi nell’entroterra si raggiunge Stellenbosch, vivace centro universitario che è la porta d’accesso alle tante aziende di vino e birra dei dintorni, produttrici delle eccellenze liquide del Paese. Hanno echi d’Italia e California, invocano una loro personalità, provocano superflui stordimenti: non servirebbe bere, per tutto il tempo del viaggio si è già inebriati di bellezza.