Un cane ti migliora la vita, a Vico parte progetto innovativo
Valchiusa
In Canavese la pet therapy si evolve e diventa un intervento di attività assistita, strumento per aiutare chi ha problemi psichiatrici, anche i detenuti ospitati a Il residence di Vico, frazione di Valchiusa. Il progetto nasce dalla collaborazione tra la struttura, guidata dall’équipe presieduta dalla psicologa Laura Lettini e dallo psichiatra e direttore sanitario del nucleo forense Giovanni Gadeschi, e Kairos, centro socio-educativo cinofilo, ed è stato inaugurato con la prima seduta martedì 21 marzo.
Il progetto
Il protagonista della giornata è stato il cane labrador color cioccolato Roy, di 8 anni, che guidato dalla sua padrona e coadiutore Cristina Barbero e dalla referente Elisa Gabotti, ha aiutato un piccolo gruppo di pazienti psichiatrici forensi ad uscire dal guscio. «Ci occupiamo di cinofilia e interventi assistiti e ci muoviamo secondo le linee guida del Ministero della Salute - spiegano Barbero e Gabotti. - I cani sono i nostri e sono controllati sotto ogni punto di vista, vengono scelti a seconda del tipo di utenti con cui andranno a lavorare, mai per più di un’ora di seguito. Le loro caratteristiche vengono tenute in considerazione per gli obiettivi da raggiungere, lavorando sempre in due, referente e coadiutore, per tutelare il benessere della persona e del cane. Se non c’è per il cane, infatti, non ci può essere nemmeno per la persona con cui si sta lavorando e si opera ad un continuo confronto in vista degli obiettivi».
contro l’isolamento
In questo caso lo scopo è quello di aiutare i pazienti ad uscire da una sorta di isolamento: «Si tratta di un progetto pilota, che mira a trovare nuovi stimoli su ospiti che hanno la tendenza ad isolarsi e partecipano meno alle attività vengono proposte all’interno della struttura, per problemi fisici o per deterioramento cognitivo - spiega Gadeschi, supportato dalla sua squadra della struttura formata dalle educatrici Zaira Michieli ed Eleonora Cacciapuoti e dal coordinatore degli educatori Giorgio Michieli. - Il residence di Vico è nato 40 anni fa come struttura psichiatrica e negli anni si è riconvertito in comunità destinata ad ospiti con problematiche forensi. Chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari che ospitavano gli autori di reati con riconosciuta capacità di intendere, sono stata attivate le residenze pubbliche per l’esecuzione delle misure di sicurezza, soltanto 6 in Italia, numero insufficiente a soddisfare la sempre più grande richiesta di posti, la cui conseguenza è che per la lunga attesa i pazienti sono costretti ad una impropria detenzione nelle carceri. Dal 2016 Il residence di Vico ha redatto un progetto dedicato ad accogliere pazienti psichiatrici, circa 20, con misure di sicurezza e riceve continue richieste da ogni regione. In questa attività il cane è un facilitatore, che aiuta nel superamento della solitudine, nella rieducazione e a mantenere relazioni. Roy, cane adatto alla pro-socialità e molto buono e paziente, ha subito rotto il ghiaccio andando a salutare tutti i componenti del gruppo».
Tanto entusiasmo
Gli ospiti hanno accolto il progetto nel migliore dei modi: «Le attività con Roy sono piaciute molto e abbiamo riscontrato molto entusiasmo - commenta la squadra di lavoro. - Il cane è riuscito a far riaffiorare momenti della vita dei nostri ospiti, dall’infanzia in famiglia al cane meticcio che sapeva sempre lo stato d’animo del suo padrone. È il cane che aiuta le persone con disturbi psichiatrici ad entrare in relazione. La pet therapy prevede che il cane sia un co-terapeuta, un motivatore».
L’incontro dura 50 minuti e ha cadenza settimanale: «Martedì è stato il primo incontro tra il cane e il gruppo: c’è stato prima un momento di accoglienza, di presentazione, poi abbiamo fatto alcuni esercizi con Roy. Fiuto, ricerca, mobility, riporto, attività che fanno parte del mondo della cinofilia ma che qui vengono declinate in un’altra chiave - spiega il gruppo di lavoro. - Nei prossimi incontri struttureremo un percorso personalizzato su ogni partecipante. Il cane ha retto bene, perché anche per lui si tratta di uno sforzo notevole: l’animale percepisce e assorbe le nostre sensazioni ed è per questo motivo che, per tutelare il suo benessere e quello dei pazienti, non può lavorare oltre 2 ore a settimana».