Monfalcone, nuovo contenzioso per il Comune nella vicenda del bonus tagliaffitti
foto da Quotidiani locali
MONFALCONE. Nuovo braccio di ferro nel contenzioso aperto a cavallo tra il 2020 e il 2021 sull’esclusione di una cinquantina di cittadini stranieri, prevalentemente di nazionalità bengalese, dai bandi pubblici per l’assegnazione di un alloggio e del bonus tagliaffitti a causa di una presunta carenza documentale sull’attestazione dell’assenza di proprietà immobiliari all’estero.
Due pronunciamenti
Dopo due pronunciamenti a favore degli assistiti con riammissione in graduatoria – in primo grado, a giugno 2021, del giudice della sezione civile del Tribunale di Gorizia Laura Di Lauro e in appello, con verdetto depositato a gennaio, della Corte presieduta da Giuseppe De Rosa (consigliere Linalisa Cavallino e giudice ausiliario relatore Francesco Iaderosa) – l’avvocato Riccardo Cattarini ha presentato un’istanza di correzione per errore materiale dell’ultima sentenza. In sostanza chiedendo di «provvedere alla liquidazione delle spese cui Ater è stata condannata, secondo la nota spese in atti o con altro importo che verrà ritenuto di giustizia», poiché nelle motivazioni rese non si faceva cenno al punto: una «dimenticanza». E, ritenendo in via analoga «soccombente» il Comune, la rifusione delle spese anche da parte dell’amministrazione.
Il vertice della giunta
Sicché all’antivigilia del 25 aprile la giunta Cisint si è dovuta riunire per stabilire – con delibera numero 125 – la costituzione nell’istanza promossa davanti alla medesima corte di Appello di Trieste, con affidamento del patrocinio legale nuovamente in capo all’avvocata Teresa Billiani, che già aveva seguito i due gradi di giudizio. L’udienza con la discussione si è tenuta il 2 maggio e ora si attende l’esito della Corte. Potrebbe essere questione di giorni, al più tardi un mese.
Il presidente dell’Ater
Se il presidente dell’Ater Fabio Russiani, assistito dal legale Paolo Coppo, attende la pronuncia e si riserva un commento all’epilogo della vicenda, la sindaca Anna Cisint, pur non entrando nel merito della questione, si spinge a considerazioni su un piano più prettamente politico: «Una pubblica amministrazione parla solo attraverso documenti scritti e qui è stato depositato che la Regione debba pagare, gli altri no. Ci siamo costituiti perché non riteniamo che la Corte si sia sbagliata nel suo verdetto». «Di certo un cittadino dovrebbe esser contento – arringa – che il Comune non sia stato chiamato a sborsare quei soldi, trattandosi di finanze pubbliche e cioè di tutti noi. Qui invece sembra quasi ci sia un accanimento nel voler che l’ente paghi quando i giudici non l’hanno scritto». Commenta invece l’avvocato Cattarini: «Questa volta il Comune si è irrigidito e ha preteso che i “malcapitati” ricorrenti facessero un’altra causa, pur dopo aver avuto due volte ragione».
La sentenza di primo grado
La sentenza di primo grado dell’8 giugno 2021, poi impugnata, aveva qualificato come «discriminatoria» la condotta tenuta da Regione, Ater e Comune, imponendo l’inserimento in graduatoria di 15 asiatici e 35 bengalesi rimasti esclusi dal bando alloggi e tagliaffitti. La Corte d’Appello ha confermato integralmente l’impianto. Condannando la Regione – e pure l’Ater, ma qui senza esplicitarle – al pagamento delle spese del grado verso gli appellati, liquidate in 4 mila euro per i compensi dell’avvocato Cattarini, oltre al 15% delle spese generali, cassa di previdenza e Iva, compensando invece, come a suo tempo riferito, le spese tra Regione, Ater e Comune.
L’istanza di correzione
Nell’istanza di correzione nulla viene chiesto alla Regione (nell’ultimo giudizio con i legali Beatrice Croppo, Elda Massari, Valentina Cocuzza e Camilla Toresini) che però essendo parte del giudizio ha formulato rilievi. La Regione ha peraltro già liquidato la somma richiesta perché la sentenza d’appello è esecutiva, ma con riserva di petizione, cioè lasciando aperta la possibilità di adire al terzo grado di giudizio, la Cassazione, per ribaltare i due verdetti sfavorevoli: ai sensi di legge, infatti, i termini per presentare ricorso scadono a sei mesi dal giorno di deposito della sentenza. C’è ancora tempo.