Per Giovanna Martelli «la differenza è donna»

foto da Quotidiani locali

Torinese, classe 1963, Giovanna Martelli vive tra Mantova, Roma e la Colombia. Nel 2011 diventa vice presidente della Provincia di Mantova con delega alle Politiche del lavoro, giovanili e cooperazione internazionale e nel 2013 è eletta alla Camera. Dagli anni 2000 si occupa del conflitto in Colombia. Segretaria generale di una fondazione di ricerca e studio, a marzo 2022 partecipa alla missione di Osservazione internazionale per le elezioni del Parlamento colombiano. È nell'executive Board della Scuola italiana dei dottorati in scienze religiose.

«A una donna che ha fatto della libertà delle donne la sua missione, che ha esercitato l’arte della mediazione nel rispetto della verità, applicando l’approccio di genere nell’attuazione del processo di pace in diverse parti del mondo e in particolare in Colombia»: Giovanna Martelli partiamo da qui, dalle motivazioni del premio “She made a difference” che ha ricevuto lo scorso anno, per aver posto i temi dell’inclusione e della pacificazione «al centro della sua militanza quotidiana in Sud America come nelle aree del territorio italiano». Da Mantova alla Colombia passando per il Parlamento italiano: è questo il filo che lega esperienze geograficamente così distanti?

«L’impegno è lo stesso perché è vero che sono stata e sono spesso lontana da Mantova, ma è anche vero che è la terra che ci tiene legati. Perché tutto parte da lì, dall’immaginarsi in un contesto largo dove si fanno convergere le stesse necessità, gli stessi bisogni, la stessa ricerca di verità rispetto a quanto accade nel mondo e in Italia. Penso ad esempio alla grande emergenza del disagio giovanile e adolescenziale che c’è a Napoli ma anche a Mantova come dimostrano gli ultimi episodi gravi di Castelbelforte e dei giardini sul Te. Episodi che devono portare a creare connessioni e a non immaginarsi in un mondo chiuso: c’è un malessere nei giovani che non possiamo non ascoltare e non possiamo non metterci in dialogo con uno sguardo aperto. E serve una vocazione all’internazionalizzazione, perché così come si sono internazionalizzati il mercato e il flusso di guadagni così noi dobbiamo cercare di mantenere aperto il dialogo internazionale sui grandi bisogni che ci sono in tutte le regioni del mondo. Pensi all’emergenza climatica che ci riguarda tutti o alla violenza contro le donne che è trasversale a classi sociali e Paesi perché ha un’origine strutturale nella società patriarcale che non accetta che le donne abbiano un ruolo pubblico e ha la sua espressione più drammatica nella violenza e nel femminicidio, è come con la terra che è oggetto di continuo sfruttamento. E siccome io sono prima di tutto una femminista e il femminismo ha come origine principale quella di contrastare ogni tipo di sfruttamento umano e del Pianeta, porto questo in tutte le mie azioni quotidiane».

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Azioni che partono negli anni novanta con i progetti di alfabetizzazione e formazione per le donne immigrate nelle zone rurali nel mantovano, per proseguire con il piano di conciliazione vita-lavoro e il fondo per l’anticipo della cassa integrazione alle lavoratrici e ai lavoratori colpiti dalla crisi economica che l’hanno vista protagonista quando era vice presidente della nostra Provincia. Per arrivare al suo impegno come deputata per il congedo retribuito alle lavoratrici vittime di violenza e nel 2014 come consigliera alle Pari Opportunità dell’allora presidente del consiglio Renzi: come è entrata la Colombia nella sua vita?

«Occupandomi qui a Mantova e in Italia del mondo del lavoro, di occupazione femminile e giovanile in un periodo di crisi, toccando con mano cosa sono lo sfruttamento e il precariato, cosa significa perdere il lavoro, ho iniziato a interrogarmi, da curiosa quale sono, su cosa succedeva nelle altre parti del mondo, a chiedermi perché si fanno certe cose e per chi le facciamo. E sono arrivate le prime missioni con Opera Don Calabria in America Latina, che per la sua storia di colonialismo, la vastità del territorio, la storia degli schiavi e del latifondismo, che c’è ancora, mi ha portata a contatto con un mondo che ignoravo e per me è diventata una missione, una vocazione, non un lavoro».

Missione la sua che possiamo definire di accompagnamento al processo di pace in Colombia che si concentra sul ruolo delle donne in questa transizione, tema a cui dedica nel 2016 il suo intervento a una sessione del Consiglio di sicurezza Onu e la vede l’anno successivo progettare Casa Ernestina Parra con le madri del municipio di Soacha...

«Casa Ernestina Parra nasce da un dialogo sugli effetti del conflitto armato nella vita delle donne, sulla violenza strutturale che ne consegue dovuta a una società patriarcale fortemente radicata. Soacha conta un milione di abitanti, vi si rifugiano tantissimi sfollati, ha un tasso altissimo di disoccupazione giovanile e di gente che vive sotto la soglia di povertà. Proprio lì è nato un luogo delle donne, costruito da donne che fosse punto di riferimento per trovare appoggio e forza e intendo la forza delle donne che è generativa, che da un conflitto armato e dalla povertà è capace di reagire per costruire percorsi nuovi di rigenerazione. Casa Ernestina Parra oggi c’è ancora, queste donne oggi sono autonome e sognano di acquistarsi una casa tutta per loro, dove poter dare stabilità a questo processo di trasformazione che stanno facendo insieme per riscattarsi e mettersi a disposizione. Noi in Italia questo lo vediamo meno perché la nostra società ha una deriva individualista ma poi scopriamo che anche qui i giovani vivono nel disagio, che molti vivono sotto la soglia di povertà, che la terra è ammalata grave».

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E arriviamo alle elezioni del 2022 in Colombia alle quali partecipa come osservatore internazionale designato dal Consiglio nazionale elettorale della Repubblica colombiana: le elezioni della svolta.

«Le elezioni in Colombia sono state molto importanti e hanno risentito degli accordi di pace dell’Avana rappresentando un punto di svolta, con luci e ombre di un Paese dalla storia complessa, con un conflitto armato che dura da 60 anni. Ma quelle elezioni sono comunque state una svolta anche per come sono avvenute: per la prima volta sono stati istituiti seggi speciali per i territori più colpiti dal conflitto armato dove si sono potute candidare le vittime e questo ha dato corso a quanto previsto dagli accordi di pace sulla riparazione integrale delle vittime con il pieno accesso alla partecipazione politica. E poi è stata una svolta la vittoria di Gustavo Petro che è anch’essa frutto degli accordi di pace e della ricerca di verità. Questo lavoro in tutti i territori ha permesso di far emergere quanto accaduto nel conflitto e la necessità di costruire una pace fondata sulla giustizia sociale, sulla giustizia ambientale, sull’eliminazione delle disuguaglianze. Terra, tetto, lavoro sono le tre condizioni indicate da papa Francesco per emanciparsi e senza le quali non può esserci pace. L’origine del conflitto è nella frattura tra la terra e la sua gente ad opera dei grandi proprietari terrieri e la strada da seguire è quella della comunità di San Josè De Apartadò dove da oltre 25 anni viene praticata la resistenza non violenta da parte di contadini che coltivano caffè e cacao in piccoli appezzamenti tra colture intensive di banane delle grandi multinazionali ed eserciti paramilitari che sottraggono loro la terra».

Ora a quali progetti sta lavorando?

«Con Opera Don Calabria e la Fondazione di cui sono segretario generale stiamo lavorando a un progetto di ricerca sul tema della devianza minorile ed empowerment economico delle donne a Buenaventura che è una città di 400mila abitanti con un grande porto sul Pacifico».

Intanto il Pd di Elly Schlein l’ha vista riavvicinarsi alla politica italiana...

«Tra corsi e ricorsi si torna da dove si era partiti: anche se la mia strada ora è quella della cooperazione e della missione sudamericana, Elly Schlein non poteva non richiamarmi, il percorso in Articolo Uno mi ha riavvicinato alla militanza politica e darò il mio contributo di esperienza e di pensiero».

Così come continua il suo impegno per la nascita in Italia di un ministero della Pace...

«Parto dalla visione profetica di Don Benzi che nella sua lettera al presidente del consiglio nel 2001 scrisse: gli uomini hanno sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace. Penso che il ministero della Pace possa dare un contributo al protagonismo delle donne nei processi di pace e nel sostegno allo sviluppo sostenibile e che sia arrivato il momento di pensare un laboratorio trasversale frutto dell’incontro e del dialogo tra donne. Per costruire spazi di memoria con le donne che vivono i conflitti e i loro impatti, condividere buone pratiche per eliminare ogni forma di violenza e di sfruttamento, riconoscere il diritto all’assistenza e valorizzare il lavoro domestico e di cura non retribuito ».

E Mantova cosa può fare per il processo di pace in Colombia?

«Magari ci fosse un impegno mantovano! Mi piacerebbe poter portare là una rappresentanza delle istituzioni mantovane, del terzo settore, della classe imprenditoriale, della diocesi, creare una rete di collegamento perché questa provincia ha tanto da dare per la sua storia e la sua cultura di solidarietà. Io in autunno torno là...».