Stasi al lavoro fuori dal carcere, la madre di Chiara: «Spero di non incontrarlo per strada»
GARLASCO. Rita Preda e Giuseppe Poggi, i genitori di Chiara, hanno saputo del nuovo lavoro fuori dal carcere di Alberto Stasi dai media venerdì di prima mattina. La coppia ha un altro figlio, il secondogenito Marco, tenuto lontano dai riflettori della lunga e dolorosa vicenda. «Sapevamo che sarebbe arrivato questo momento, lo prevede la legge. Ci aspettavamo però almeno di essere avvisati anche in maniera informale. Alberto è accusato di aver ucciso nostra figlia, dopo nemmeno 8 anni dall’ingresso in carcere può già andare a lavorare fuori. È consentito, ma sicuramente non l’abbiamo presa bene. Speriamo non di incontrarlo, sarebbe un trauma», spiega Rita Preda, la madre di Chiara Poggi.
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I Poggi vivono ancora a Garlasco
I Poggi tuttora vivono nella casa di via Pascoli, dove era avvenuto il delitto nell’agosto 2007. Alberto Stasi invece è figlio unico. La madre Elisabetta Ligabò da tempo vive nel Milanese, mentre il padre Nicola Stasi è morto per una sindrome autoimmune il giorno di Natale del 2013. La famiglia Stasi ha gestito per anni un punto vendita di ricambi auto in via Tramia, alla periferia di Garlasco.
«Non abbiamo più rapporti con la famiglia di Stasi da anni, dall’epoca dei processi - aggiunge Rita Preda, che prima della pensione ha lavorato come impiegata nel municipio di Gropello -. Non è nemmeno mai capitato di incrociare per Garlasco la madre».
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Dal punto di vista procedurale la mancata comunicazione dell'uscita di Stasi dal carcere per lavoro è corretta. Infatti dopo l’applicazione della pena detentiva le parti civile e offese nel processo, in questo caso i Poggi, non sono più controparti attive nel procedimento. «Però non avercelo fatto sapere né tramite i suoi legali né con una comunicazione del tribunale va in contrasto con le nuove disposizioni della riforma Cartabia, che andranno in vigore dal 30 giugno: disposizione che parlano di giustizia riparativa con un coinvolgimento maggiore tra vittime e condannato - sottolinea l’avvocato dei Poggi, Gianluigi Tizzoni -. Quindi non abbiamo visto gli atti del tribunale di sorveglianza con cui, come apprendiamo dalla stampa, prima è stata negata la possibilità a Stasi di uscire dal carcere per lavoro, e poi successivamente concessa. C'è un tema di ammissione di responsabilità. Il primo giudice, da quanto si apprende, aveva negato il lavoro esterno perché Stasi non ha mai ammesso nulla. Altri tribunali non lo concedono se non c'è un pentimento. Succede solo a Bollate e per i detenuti “mediatici”. Stasi anche dopo la condanna definitiva ha chiesto e non ottenuto due revisioni del processo e anche tentato di incolpare una persona che è risultata estranea alla vicenda».
Il riferimento di Tizzoni è quello alle indagini di parte dei legali di Stasi che poco prima di Natale 2016 chiamarono in causa un amico del fratello di Chiara Poggi. Le indagine difensive sostenevano che il Dna del ragazzo era compatibile con quello trovato sotto le unghie di Chiara Poggi. Il giovane garlaschese fu indagato come atto dovuto, ma poi scagionato.
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