Monfalcone, cantierino perse la vita durante la costruzione della Carnival Magic: chieste condanne per oltre 21 anni
MONFALCONE Pene importanti quelle richieste dal pubblico ministero, nell’ambito del processo per omicidio colposo, in relazione all’infortunio sul lavoro nel quale aveva trovato la morte il 22enne bengalese Mia Ismail.
Si tratta di condanne per 21 anni e 8 mesi di reclusione complessive nei confronti di dieci imputati. Il 21 febbraio 2011 il giovane precipitò dal ponte 12 fino al ponte 1 della passeggeri “Carnival Magic”, in allestimento nella banchina del cantiere navale.
Era finito dentro una condotta di aerazione nel corso del montaggio di un tubo dell’acqua tecnica. Tutto in un’area ristretta a ridosso del foro d’ingresso del cosiddetto “passo d’uomo”, di 65x45 centimetri. Un intervento al buio, tanto da dover utilizzare la luce di un cellulare, «in totale assenza di protezioni contro le cadute dall’alto e della necessaria segnaletica di sicurezza», come sostenuto dalla Procura.
Quella sera, Mia Ismail assieme a Islam Rukman, dipendenti della Tis Srl, e agli operai Luigi Toscano e Cirillo Fortunato, della Sl Srl, erano saliti al ponte 12 per eseguire il montaggio del tubo che era stato “dimenticato” nella fase dei lavori, a cura della Sl che aveva assunto l’appalto.
Il “passo d’uomo” era stato disigillato e nel praticare preliminarmente un foro, Rukman perse la punta del trapano scivolatogli da una mano, successivamente rinvenuta al ponte 4. Mia Ismail si era avvicinato alla condotta fino a venirne “inghiottito”.
A processo sono l’allora direttore dello stabilimento di Panzano, Carlo De Marco, e i tecnici preposti, a vari livelli, Antonio Quintano, Marco Battistella, Andrea Aiello, Luca Zorzin, Massimo Canesin, Michele Verdoliva, nonché l’amministratore delegato di Tecno Impianti Service Srl, Antonietta De Mai, quindi Angelo e Salvatore Cozzolino, rispettivamente capo cantiere per la sicurezza e supervisore della ditta appaltatrice per la quale il giovane operaio lavorava. I familiari del ragazzo non si sono costituiti parte civile in virtù di una transazione extragiudiziale.
Nell’ultima udienza, davanti al giudice monocratico Marcello Coppari si è aperta la discussione finale.
Le condanne chieste dal pm
Il pm ha richiesto 3 anni nei confronti di De Mai, Angelo e Salvatore Cozzolino, 2 anni per Battistella, Aiello, Zorzin, Canesin, Verdoliva, 1 anno e 8 mesi nei confronti di De Marco e Quintano. Le contestazioni sono riferite al decreto legislativo 81 del 2008 in materia di sicurezza sul lavoro. A vario titolo si parla di mancata cooperazione all’attuazione delle misure di protezione, mancata predisposizione di adeguati presidi di sicurezza e di “non aver vigilato attentamente” sull’operato dei dipendenti preposti; di aver autorizzato i lavoratori ad eseguire l’attività in quell’area, già sigillata e consegnata all’armatore, mancata vigilanza sui lavoratori, anche i fini della sicurezza, e sulle imprese esecutrici dell’intervento permettendo l’accesso degli operai su aree non autorizzate.
Il pm si è soffermata su più aspetti, a partire dai luoghi dov’era in corso ciò che ha definito «un ricollaudo». Le modalità dell’intervento e le attrezzature utilizzate (come una scala a triangolo), inoltre, non erano corrette.
«Ismail e i suoi colleghi non dovevano trovarsi in quell’area», ha affermato il pm. Il giovane non aveva una preparazione specifica e non conosceva la lingua italiana, ha ancora rilevato. Ha parlato di “una dinamica chiara” dell’infortunio e dell’allontanamento del responsabile della sicurezza Angelo Cozzolino, comunque “consapevole di cosa stesse accadendo”.
Ha posto dubbi poi circa il coordinamento tra Fincantieri e le due ditte appaltatrici. Sono seguite le prime arringhe. L’avvocato Alessandro Del Bello ha sostenuto in sostanza che la sua assistita, De Mai, non aveva diretta competenza in ordine alla sicurezza e al lavoro, non poteva adottare tutte le misure organizzative, né controllare il responsabile della sicurezza Angelo Cozzolino. Ha aggiunto: «In istruttoria è emerso con evidenza che il 21 febbraio la Tis aveva terminato le operazioni e che l’area era già stata consegnata all’armatore».
Ha richiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. L’avvocato Fabio Antonini, nel rilevare l’incongruità della pubblica accusa che «dopo due richieste di archiviazione nei confronti di Salvatore Cozzolino ha richiesto la pena di 3 anni», ha sottolineato: «È stato un evento assolutamente imprevedibile, lo stesso pubblico ministero ha detto che la squadra lavoro non doveva trovarsi in quel luogo». Ha chiesto l’assoluzione con la formula più ampia.