Vedovanza: rifarsi una vita dopo un lutto sentimentale
Rifarsi una vita, andare avanti, innamorarsi di nuovo dopo la fine di un amore. È già complicato quando ci si lascia, e bisogna separare le strade, ma quando non ci si lascia davvero? Succede quando uno dei due se ne va fisicamente, quando subentra un lutto fisico. Quando uno dei due muore.
L’altro rimane qui, con l’idea che quell’amore sia ancora presente, non sia finito, perché non è finito mai per davvero. La vedovanza è uno status quo difficile da portare, complicato da indossare. E non esiste un modo giusto per viverlo. C’è chi rimane aggrappato ai ricordi, chi preferisce guardare avanti, chi si chiude a riccio nel proprio dolore e chi cerca nuovi stimoli per uscire dal guscio.
C’è un lutto – fisico, concreto -, una mancanza, un’assenza non scelta, che pesa e con la quale provare a convivere. Un’elaborazione da fare, da percorrere.
E se nel mentre, l’amore torna a bussare alla porta? Che si fa? Gli si apre o gli si sbatte la porta in faccia? E sarà giusto che il cuore torni a battere, dopo quello che è successo? E per chi si avvicina a una persona vedova, qual è l’approccio da osservare? Tante sono le domande che abbiamo rivolto alla dottoressa Roberta Rossi, sessuologa. Ecco l’esito di questa chiacchierata a cuore aperto.
«Un’elaborazione del lutto c’è sempre, dopo ogni perdita di qualsiasi tipo, ma in questo caso è un lutto fisico, materiale: l’altro non c’è davvero più. Questa fase è variabile ed è molto individuale, non c’entra l’età o lo stato di salute, ma va in base all’emotività personale. Bisogna fare i conti con quest’assenza e progressivamente cercare di tornare alla vita, prendendo atto che essa procede, volente o nolente.
Si ha bisogno di andare avanti, di uscire, di mangiare, di vedere persone… anche di riaprire il cuore, ammesso che lo si voglia. Quando si riesce a pensare al passato, ai ricordi, senza rabbia, tristezza o senso di mancanza, ma con malinconia, allora significa che in qualche modo c’è stata una presa di coscienza di ciò che è successo e si è pronti ad andare avanti».
Si affaccia una nuova relazione: c’è qualche differenza di comportamento in base all’età o al sesso? «Non è un diktat, ma in generale, di solito, chi è più giovane anagraficamente, forse è più predisposto a ricominciare anche nella sfera affettiva. Chi è più maturo d’età, tende a pensare di aver già avuto tutto nella vita, senza sentire l’esigenza di una nuova relazione. Così come è dimostrato che le donne – soprattutto quelle più mature – tendono a rimanere sole per più tempo rispetto agli uomini. In ognuno di questi casi, comunque, quando ci si sente pronti, allora significa che si è chiuso il ciclo precedente, che si è messo un punto, che non significa dimenticare, ma andare avanti».
Una volta accettata la relazione, come saranno le prime fasi? «Anche qui non c’è una regola che vale per tutti, ma di solito c’è una fase di conoscenza molto lunga, in cui la persona vedova capisce se può affidarsi e fidarsi di nuovo. Si apre al mondo di nuovo, come un neonato: deve riaffinare certe sensazioni. Esiste un rischio, però».
Quale? «Si potrebbero fare continui confronti, paragoni col vecchio partner o addirittura si potrebbe rischiare di ricercare le sue caratteristiche in quello nuovo, perché ci dà sicurezza. Questo significa che l’elaborazione del lutto non c’è stata per davvero, forse quindi non era ancora il momento di iniziare una nuova relazione. Quando ci si avvicina a una nuova persona, bisognerebbe farlo col cuore pulito, anche per una questione di rispetto nei confronti del nuovo partner. Bisogna imparare ad ascoltarsi, a non affrettare le cose».
È anche vero che in una vedovanza l’altro non ci ha mai lasciati veramente, quindi forse è ancora più difficile farsene una ragione… «Sì, c’è stato un evento traumatico che ci ha strappato la persona amata dalla vita. A maggior ragione, bisogna fare un lavoro di elaborazione, di accettazione, di gratitudine verso i frutti di quello che è stato e che ci aiuteranno a seminare meglio in futuro».
E col senso di colpa come la mettiamo? «C’è, è innegabile, ma non ha senso di esistere. Si vive una fase in cui si ha la sensazione di stare sostituendo l’altra persona, di difficoltà nel lasciare andare, a dire che quella situazione è finita. Una volta che si accetta tutto questo, si capisce che è sacrosanto potersi riprendere un’opportunità nella vita, è di vitale importanza praticare quel sano egoismo, che ci insegna a volerci bene, anche perché non stiamo nuocendo a nessuno, ma solo a noi stessi se ci limitiamo».
Argomento figli: sono un ostacolo o un motivo di spinta ad andare in avanti? «I figli sono un elemento di distrazione: averli implica doversene occupare, non avere tanto tempo per pensare ad altro. Non c’è senso di abbandono, perlomeno con quelli piccoli. Costringono a vivere nel momento presente.
Con i figli grandi è diverso: se sono già fuori dal nido, il senso di solitudine sarà più forte. Soprattutto va messo in conto che potrebbero osteggiare la nuova relazione, per senso di protezione. Ecco, l’ambiente intorno potrebbe essere un elemento di resistenza verso la nuova relazione: gli altri non sono abituati a questo tipo di cambiamento, vorrebbero che ci si crogiolasse continuamente nel dolore. Ma ricordatevi che il lutto è personale, ognuno lo elabora a modo suo, chi con le lacrime, chi col sorriso, chi con entrambi, ciò che conta è ascoltarsi».
E il nuovo partner cosa deve aspettarsi? Come si deve approcciare? «Deve aspettarsi diffidenza, paura. Perciò dovrà usare cautela, calma, dovrà rispettarne i tempi: non dovrà forzarli, senza spingere sull’acceleratore. Ecco, non pensate di essere voi fuori posto o di aver sbagliato qualcosa. Avete davanti una persona fragile, maneggiatela con molta cura».