Così James Joyce torna protagonista al Trieste Film Festival
“Cinema Volta” di Martin Turk e “Translating Ulysses” di Aylin Kuryel e Fırat Yücel portano alla rassegna internazionale un focus sullo scrittore irlandese
TRIESTE Dopo i grandi festeggiamenti che il Trieste Film Festival aveva riservato nel 2009 al centenario dell'apertura del Cinema Volta a Dublino, ora James Joyce torna protagonista del Trieste FilmFest con ben due film.
Il primo è una docu-fiction proprio sul “Cinema Volta”, firmata da Martin Turk e racconta con mix di humor, comicità e di informazioni accademiche l'odissea joyciana a Dublino per l'apertura della prima sala cinematografica irlandese.
L'impresa, capitanata da Joyce e finanziata da un gruppo di businessman della minoranza slovena di Trieste, si rivelò infine fallimentare. Il secondo film è “Translating Ulysses”, poetico e toccante documentario di Aylin Kuryel e Fırat Yücel dedicato a Kava Nemir, il traduttore curdo dell'”Ulisse” di Joyce. Entrambi i documentari sono in programma al Teatro Miela domenica 21 gennaio, “Cinema Volta” alle 11 e “Translating Ulysses “alle 14.
L'idea di girare un film sulla scalcinata avventura dei “triestini in Irlanda” nasce nel 2015, come racconta il regista Martin Turk, quando il produttore sloveno Radovan Misić gli propone un soggetto tratto dal racconto di Drago Jančar “Cinema Volta” (peraltro mai tradotto in italiano).
«Onestamente – sottolinea Turk – era un progetto che mi faceva molta paura perché la storia è difficile da visualizzare. I filmati di Trieste a inizio XX secolo sono rari e le solite foto noiose. Così ho cercato di scrivere una sceneggiatura con un piglio visivo (ma anche con un punto di vista narrativo) diversa e più personale rispetto ai classici documentari. Poi ci sono volute molte ricerche e molte idee». Dopo anni di preparazione il film è stato girato nel 2022 con un budget di trecentomila euro.
Alla fine, ricorda il regista: «Di tempo ce n’era poco, cose da fare tante, quindi è stato tutto un po’ “rock n’ roll", con idee ed invenzioni che nascevano al momento. Il film s'apre con Danijel Malalan, direttore del Teatro Sloveno di Trieste, che legge il racconto di Jančar e decide di farne un film».
La ricerca del cast lo porta a ingaggiare una coppia di giovani turisti anglo- irlandesi per interpretare i ruoli di James e di Nora. Iniziano le riprese, alternate a scene in B/N stile film muto, come quelli che venivano proiettati a inizio '900, ma anche a interviste a John McCourt, Laura Pelaschiar, Marta Verginella, Miran Kosuta, Riccardo Cepach e tanti altri. Le riprese portano la troupe a Dublino, dove Malalan nelle vesti del leader dell'impresa, il commerciante Antonio Machnich, intona nel pieno dei festeggiamenti per il Bloomsday “Viva là e po' bon”. E quando il progetto naufraga miseramente la troupe seguita a divertirsi a “casa Machnich” (ovvero casa Malalan a Trebiciano) con proiezioni a uso del pubblico locale, e sui tetti di Trieste dove Joyce danza i sui famosi balli sfrenati sulle note di “Fineggan's Wake”.
Atmosfere completamente diverse si respirano invece in “Translating Ulysses” di Aylin Kuryel e Fırat Yücel che nel 2018, durante un festival letterario, hanno incontrato a Amsterdam Kawa Nemir, classe 1975, traduttore in curdo di Shakespeare, Yeats, Whitman, Blake, Melville, e non ultimo, dell'”Ulisse” di James Joyce.
Per Nemir, mentre vaga da un esilio all'altro, l'unica sua casa resta la lingua curda, di cui è come un ricettivo dizionario ambulante. I due registi lo frequentano mentre sta soggiornando nella casa in cui Anna Frank visse tra il 1933 e il 1942, e che ora funge da residenza per scrittori esiliati.
«La nostra appartenenza politica – hanno dichiarato - ha reso più facile l'instaurarsi di un'amicizia che ha permesso di seguire il lungo e solitario processo di traduzione d'una delle opere letterarie monumentali del modernismo in una lingua oppressa quale è il curdo. L'incontro con Kawa ad Amsterdam è stato per noi qualcosa di più di un suggerimento o di un segno, raccontare questa storia al mondo ci è sembrato un dovere politico».
Di fatto, “grazie alla vastità dell'”Ulisse”, «il popolo curdo troverà nella traduzione di Nemir parole che non sente da molto tempo, in attesa da qualche parte nella memoria collettiva o addirittura nel subconscio, parole che le loro nonne o i loro padri hanno usato quando erano bambini o addirittura parole di cui non hanno mai sentito parlare...».
Un bellissimo film sul lavoro del traduttore, ma anche sulla esperienza dell'esilio, sulla vera patria che è la propria lingua, sul potere della parola e la potenza del linguaggio, una forma di resistenza contro l'intolleranza, la follia dei nazionalismi, la violenza, le guerre. O per dirla con le parole dei due autori: «La decolonizzazione di popoli e lingue richiede un grande lavoro, perseveranza e decenni di resilienza. Siamo solo a metà di questa storia. Ci aspetta una lunga lotta contro i governi di destra che cercano di sopprimere il loro passato coloniale e di mantenere il loro potere suprematista maschile bianco, così come ci sono molti libri da tradurre e da scomporre, cioè da ripensare in diversi contesti coloniali e postcoloniali. L'enorme statura dell'“Ulisse”, la determinazione nel tradurre questo libro, può essere vista come una favola che allude alla longevità e alla continuazione della lotta».