Positivo a Madrid, recluso in un residence. Il calvario per un certificato di malattia
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La lettera sfogo di un carmignanese che dal 31 dicembre non riesce né a rientrare in Italia, né a giustificare l’assenza
Rimanere bloccati all’estero perché positivi al Covid-19 non è piacevole.
Ma assurdo, con due test e referti in mano che rilevano la presenza del virus (certificati ‘ufficiali’ di laboratori accreditati, di quelli da esibire in aeroporto prima dell’imbarco se negativi), è quanto complicato sia ottenere un certificato di malattia per non consumare giorni di ferie per giustificare l’assenza da lavoro. E’ capitato a me, confinato oramai dal 31 dicembre a Madrid in un residence dove ho affittato per necessità un appartamento. E tra burocrazia spagnola e italiana, a distanza oramai di oltre una settimana, è stato impossibile finora venirne a capo: un certificato in mano ancora non ce l’ho. Ho spedito i referti di positività all’azienda per cui lavoro, per avvertire che il 3 gennaio non sarei tornato in servizio. Ma serve un certificato medico per usufruire dell’assenza per malattia. Ho provato con l’assicurazione medica privata attivata: rispondono ventiquattro ore su ventiquattro per consulti medici telefonici, possono inviare sul posto (se necessario) un medico per una visita. Ma sono medici ‘privati’ e non possono emettere certificati di malattia. Dice che siamo in diversi ad averlo chiesto, tutti alle prese con il medesimo problema. Magra consolazione. Ho provato a rivolgermi pure agli sportelli di due diversi centri della salute del quartiere di Madrid dove mi trovo. Assomigliano ai nostri presidi sanitari delle Asl. Inutile. Non senza difficoltà linguistiche – io che non conosco lo spagnolo, loro che non sempre capiscono l’inglese - alla fine ci siamo intesi, ma non è bastato: essendo qui in vacanza (arrivato il 26 dicembre per ripartire a fine anno), non potevano far nulla. Un delirio, con lo spettro di una lotta contro i mulini a vento che, in omaggio al Don Chisciotte dello spagnolo Cervantes, mi sembra la citazione più adeguata.
Di alcun aiuto neppure l’ambasciata italiana, i cui telefoni, quando non intasati (il che capita spesso), rispondono fino al venerdì e solo dalle 9.30 alle 14.30. Ho provato a contattare il mio medico di base in Italia. Ma per attivare un certificato da malattia da Covid-19, mi ha spiegato, ha bisogno di un test di positività caricato nel database italiano del mio fascicolo sanitario. E i test fatti all’estero non ci finiscono là dentro. E dunque punto e a capo. Cerco on line una via di uscita. Trovo in rete un vademecum dell’Inps: “Cosa fare se ti ammali all’estero in un paese dell’Unione europea” recita il titolo. Sembra proprio il mio caso. Lo sfoglio: “Devi rivolgerti al medico del Paese in cui soggiorni temporaneamente per ottenere la certificazione dello stato di incapacità lavorativa” c’è scritto. Non se ne esce proprio: peccato che quel medico non riesca a trovarlo e che in ospedale, confinato in un appartamento, non ci possa andare, soprattutto perché asintomatico e dunque senza la necessità di recarmi ad un pronto soccorso. Vado avanti nella lettura: “Nel caso in cui il medico curante nello Stato in cui soggiorni temporaneamente non sia abilitato o non sia tenuto al rilascio della certificazione di incapacità al lavoro, devi rivolgerti all’istituzione del luogo in cui soggiorni temporaneamente, che provvederà all’accertamento dell’incapacità al lavoro, alla compilazione del certificato e alla trasmissione dello stesso all’istituzione competente italiana”. Domanda: “Ma qual è mai questa istituzione spagnola?”. L’ultima spiaggia è l’Inps. Chiamo. E’ sabato. Rispondono. Ma l’operatrice, gentilissima, non può che fissarmi un appuntamento telefonico fra tre giorni, l’11 gennaio. Aspetterò, incrociando le dita (anche per il test che a breve proverò a rifare per tornare in Toscana). Intanto i giorni continuano a trascorrere stanchi.
Se, come fu durante l’estate della prima ondata, il test Covid-19 per chi tornava dall’estero si fosse dovuto eseguire all’arrivo in aeroporto in Italia, tutto sarebbe stato più semplice. Sarei risultato positivo ed avrei fatto il mio periodo di isolamento a casa (con certificato di malattia immediato). Ma questa è un’altra storia. Purtroppo l’ordinanza del ministro Speranza di dicembre impone di esibirlo all’aeroporto di partenza, anche ai cittadini italiani in rientro.
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