L’orco nella stanza accanto: pesta la moglie in mezzo al sangue del figlio
MASSA CARRARA. Daria non sente più dolore. È oltre. Registra i colpi, da automa. Pancia, testa, schiena. Alla cieca, come arrivano. Sente parole, ma non capisce il significato. L’unico pensiero lucido è che probabilmente sta sanguinando. Deve essere colpa di tutti quei vetri sparsi sul pavimento. Per entrare in casa è stata costretta a rompere la porta veranda che dà sulla terrazza. Suo marito ce l’ha sbattuta in mezzo a quei vetri. Chissà dove si è tagliata, mentre lui la trascina, per i capelli. Poi il pensiero orribile,, quando non si trova ferite profonde: “Oddio no. Questo non è il mio sangue. È quello di mio figlio”.
Il marito, un agente di commercio della provincia di Massa Carrara, la sta pestando nel sangue di suo figlio. Ecco, ora Daria avverte il dolore. Mesi di botte. Il piede fratturato in estate. La fame patita: giorni lasciata senza cibo. Lui che ti mangia due uova e due pomodori davanti, indifferente al tuo stomaco vuoto. Peggio delle minacce, delle umiliazioni. Sono aumentate negli ultimi giorni, dopo la prima udienza sulla separazione. Davanti al giudice il marito, il 16 dicembre 2021, dichiara: «Io la amo ancora». Per “amore” infatti il 23 dicembre le stacca acqua, luce e gas dalla casa di famiglia. Poi la massacra di botte.
Daria (il nome è di fantasia, per tutelare la vittima) è costretta a rifugiarsi in una struttura protetta, cercata in fretta dal centro anti-violenza. «Glielo ho visto negli occhi: mi voleva togliere dal mondo».
Non ha avuto la stessa impressione un mese prima, il presidente del tribunale alla prima udienza di separazione: stabilisce che i due coniugi (non ancora ex) possono stabilire la residenza dove vogliono, fino all’udienza del 26 aprile 2022. Proprio a questo “decreto” si appoggia Marco, il marito violento, per non lasciare il tetto coniugale. Lo sventola anche alla pattuglia che, a fine dicembre, interviene per sedare “un conflitto”. La raccomandazione ai coniugi è: «Restate entrambi in casa, ognuno nella propria stanza e comportatevi bene». Una condanna per Daria.
LA FRATTURA DELLA GAMBA
Le violenze in questo matrimonio celebrato nel 2015 iniziano presto. Le denunce no. Daria è innamorata. Lui è convincente e sempre pentito. Lei è certa di riuscire ad aiutarlo. Lui minaccia perfino di suicidarsi, se lei non lo perdonerà. E la capacità di perdono è (quasi) infinita. Sopporta la violenza economica, la violenza psicologica. Fino a giugno 2021.
Il 19 giugno è una bella giornata. Daria ha in visita il fratello. I due si mettono a prendere il sole in terrazza. Il marito inizia a mettere la casa a soqquadro. La scusa: è tutto sporco. C’è da pulire, anche la terrazza. All’improvviso, un colpo violento alle sedie a sdraio. Le fa crollare addosso alla moglie. Sulla gamba destra. Daria cerca di minimizzare. Due giorni dopo, il dolore è insopportabile: va in pronto soccorso. Nelle note di accesso si legge: «Accede per trauma gamba destra a seguito di aggressione da parte di una persona conosciuta. Paziente seguita dal centro anti-violenza». Più avanti: «Riferite percosse con una sedia da parte del marito... altri episodi già in passato». La diagnosi è chiara: «frattura del perone-maltrattamento di adulto». Quindici giorni di prognosi.
NIENTE CIBO PER DARIA
Daria torna a casa, non ha reddito autonomo né altri posti dove andare. Le camere si separano. Dopo poche settimane lui le blocca la carta di credito, le toglie di che vivere, come risulta dall’esposto presentato al commissariato a settembre 2021: «...Daria non ha mai ricevuto alcuno stipendio per il lavoro svolto insieme al marito. Solo da marzo 2021 ha avuto da parte del marito la disponibilità della sua carta di credito... Sotto il profilo economico la situazione è degenerata negli ultimi mesi, in particolare da agosto quando inspiegabilmente il marito ha bloccato la carta di credito a Daria, rendendo impossibile acquisti fondamentali sia di generi alimentari che di farmaci». Questa situazione - si legge nell’esposto – provoca uno stato evidente di deperimento della moglie.
Dopo l’esposto l’uomo assicura alla polizia che fornirà alla moglie una carta pre-pagata di 800 euro al mese per le spese essenziali. L’impegno non viene mantenuto. Non con regolarità, almeno. L’avvisaglia che la situazione sta per precipitare. Fra ottobre e novembre arriva la richiesta formale di separazione. Vengono notificate le denunce per maltrattamenti. Il 16 dicembre c’è la prima udienza per la separazione che fissa per il marito l’obbligo di versare 600 euro al mese alla moglie senza reddito, in attesa della decisione definitiva rimandata alla fine di aprile 2022. È l’innesco della miccia.
SENZA ACQUA, LUCE, GAS
Il 21 dicembre il marito disdice l’utenza telefonica della moglie a sua insaputa: è il numero che ha da undici anni. La lascia isolata: «Me ne sono accorta perché non c’era più rete. Ho contattato Tim dal telefono di mio figlio e mi rispondono che il mio numero è stato disattivato con una Pec di mio marito». È l’inizio di una strategia di demolizione. Il 23 dicembre il marito riempie una valigia. Sembra voler lasciare la casa familiare. In realtà, si allontana mentre fa staccare tutte le utenze. Lo denuncia Daria nella querela presentata ai carabinieri il 23 dicembre 2021: «Stamattina ho visto mio marito uscire di casa con una valigia e non mi ha detto dove andava... Sono uscita con mio figlio per fare la spesa e quando sono tornata verso le 11 la mia vicina mi ha detto che mi avevano tolto l’acqua... L’amministratore mi ha risposto di aver ricevuto una mail da mio marito che gli chiedeva di interrompere immediatamente la fornitura dell’acqua a suo nome». Poche ore dopo la denuncia, però, l’amministratore sblocca il contatore che non avrebbe mai dovuto sigillare. In compenso il 24 dicembre, Daria resta senza luce e senza gas perché il marito dà lo stesso ordine ai fornitori di energia. «Ho chiamato il tecnico della caldaia – riferisce Daria in una denuncia integrativa ai carabinieri – che verifica che la calda non era guasta ma che non c’era il gas. Ho contattato il fornitore del servizio che mi spiega che mio marito aveva dato la disdetta con un messaggio audio”. Idem per la luce.
Daria chiama le forze dell’ordine. Torna l’acqua, la luce e il gas no. Il centro-violenza le porta una stufa a combustibile liquido e un fornellino da campeggio per cucinarsi qualche cosa.
FATE I BRAVI
Quando il marito si accorge di non aver spezzato Daria, ritorna a casa. È il 28 dicembre: «Appena entra in casa – racconta Daria – mette una mano sul termosifone e mi prende in giro: “Come mai sono freddi?”. Poi va verso la stanza dove dorme da quando, a giugno, mi ha fratturato il perone. “Dov’è il mio letto?”grida. Io lo avevo smontato. Ero certa che se ne fosse andato. Mi è preso il terrore: gli ho detto che lo avrei rimesso subito”. Lui intanto si impossessa della mia camera».
Inizia un balletto delle stanze. Daria è spaventata. La notte dorme su divano. Annusa la tempesta nell’aria. Si scatena il 29 sera. Puntuale. Lui inizia a gridare. Daria si chiude a chiave nella propria camera. Poi, però, sente che il marito sta iniziando a litigare con suo figlio. Esce: «Mi sono messa in mezzo, per evitare che lo picchiasse – riferisce Daria ai carabinieri – ma nel frattempo lo aveva già graffiato in faccia con una chiave. A me cadono le chiavi mentre tento di uscire di casa per chiedere aiuto. Lui mi travolge, mi fa male a una gamba, poi esce. Lo chiudo fuori di casa e grida: “Fammi entrare: questa è casa mia». Ma noi chiamiamo il 112». Interviene una pattuglia, Daria viene portata in pronto soccorso: ha una costola fratturata, un dito del piede rotto. L’uomo, però, non viene allontanato da casa. «Quando mio figlio rientra dal pronto soccorso lo trova a casa. I carabinieri intervenuti dopo la prima lite gli avevano detto che doveva andarsene, ma lui non li ha ascoltati. Allora mio figlio ha chiamato di nuovo il 112. Alla pattuglia che si presenta, però, mio marito mostra il decreto del giudice della separazione: l’atto dice che può risiedere dove vuole, quindi i carabinieri lo lasciano rientrare. Dicono a mio figlio: “Ognuno stia nella propria stanza. Quando rientra sua madre le dica lo stesso e comportatevi bene. Noi non possiamo venire in continuazione”».
Così il figlio di Daria prende il cane e va da una vicina ad aspettare la madre. Quando Daria rientra dal pronto soccorso, nel cuore della notte, tornano insieme a casa. Ma hanno una sorpresa: non riescono a entrare. Di nuovo, quindi, Daria chiama il 112. La risposta è: “La pattuglia è andata via ora. Non gliene mando un’altra”.
Daria è preoccupata. In casa ha tutte le prove dei maltrattamenti subiti: documenti, video. Teme che lui le voglia distruggere. Afferra la scala di una vicina e decide di passare dalla terrazza. «Anche se già avevo un dito del piede fratturato mi sono arrampicata. La porta finestra della sala era chiusa a chiave. Ho preso una pietra e ho iniziato a battere contro il vetro per romperlo e aprire la porta. Lui ha iniziato a buttare giù la serranda elettrica, ma mio figlio l’ha bloccata. Da lì è scoppiato il macello».
IL SANGUE DEL FIGLIO ADDOSSO
Il marito comincia a colpire Daria sulla mano per non farle aprire la maniglia. Ci prova anche il figlio ad aprire: il marito gli tira la mano contro i vetri aguzzi e gliela sbrana. Poi all’improvviso tutti si ritrovano catapultati dentro casa: «Mio marito – denuncia Daria ai carabinieri – mi afferra per i capelli, ma io non voglio ricordare quello che mi ha fatto. Mi ha dato un calcio, mi ha buttata per terra, mi ha scaraventata contro un tavolo davanti al divano. So che mio figlio lo ha bloccato più volte. So che urlavo a mio figlio “Prendi la chiave” per aprire alla vicina, che tutto si svolgeva al buio. Volevo che qualcuno accendesse la luce. So che a questa scena assisteva la figlia della nostra vicina. So che ero sotto choc e che non sentivo più il dolore. Mi sentivo solo bagnata di sangue: lui mi picchiava nel sangue. Ma non era il mio. Era quello di mio figlio».
Arriva la polizia. Mentre gli agenti verbalizzano, il marito di Daria si mette a pulire il sangue in casa. Gli agenti lo bloccano: “Ma cosa fa? Sta compromettendo le prove di una scena del crimine”. Pulizie di ordinaria follia. Daria trascorre la notte chiusa in camera con due vicine. La mattina dopo mentre denuncia il marito ha un malore. Viene portata di nuovo in pronto soccorso.
LA VITTIMA FUORI DI CASA
Alla fine, il centro anti-violenza, insieme ai servizi sociali del territorio, porta Daria e il figlio in un luogo protetto. Il marito violento è in casa, lei si deve nascondere. Lui non è stato neppure arrestato. Anche se Daria ha un referto di 30 giorni per il pestaggio del 29 dicembre, le poche denunce precedenti non sono bastate per un provvedimento cautelare. Lui è libero. Non solo di girare. Anche di distruggerle la vita. In senso letterale. Da quando Daria se n’è andata da casa, lui non la fa più entrare. Le impedisce l’accesso alla sua stanza, alle sue cose. Non fa entrare le forze dell’ordine. Se lei reclama i suoi oggetti, glieli butta dal terrazzo. Anzi, dal 4 gennaio il marito ha iniziato a buttare fuori di casa tutta la roba della moglie. In sacchi neri della spazzatura. La lascia esposta alla pioggia, senza nemmeno avvertirla. Il suo modo per ricordarle: tu non vali niente. Lo Stato vale ancora meno, perché glielo consente.
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