Gavorrano, parla la madre del ragazzo autistico che non riusciva a ottenere la certificazione verde e si è arrampicata a 20 metri
GAVORRANO. «Ho nel cellulare la foto della faccia felice di mio figlio nel momento in cui ha ricevuto il Green pass. Solo per questo è valsa la pena fare quello che ho fatto».
Il giorno dopo non ha rimorsi Simona Vasile, la donna gavorranese che martedì mattina è salita per protesta sul pozzo Roma a Gavorrano per chiedere lo sblocco del Green pass del figlio ventenne autistico, guarito dal Covid 19 il 13 gennaio ma che per una serie di problemi tecnici non aveva ancora ricevuto il certificato verde arrivato poi nel primo pomeriggio di ieri.
«Lo rifarei perché la sua felicità durante la videochiamata con cui gli annunciavo lo sblocco della situazione non ha davvero prezzo – continua Simona – Non è stato, come detto anche martedì, un gesto mirato a fare confusione o a creare disagi ma solo per far capire che il disservizio che ho vissuto io potrebbe capitare a chiunque e che un blocco del genere limita la libertà di azione. Bisogna riflettere sulla condizione nella quale siamo adesso, mio figlio è in gamba ma non si sa difendere da solo da certe situazioni e per questo ho deciso che era giusto intervenire».
Simona si è scontrata con intoppi burocratici e ritardi legati al Green pass, e con la difficoltà nel trovare soluzioni e reperire il giusto canale per sbloccarli. «Se c’è qualcosa che non funziona non è logico non sapere a chi rivolgersi – continua la donna – il numero 1500 mi attaccava in faccia, sapevo che alla base non c’era un problema di documentazione Asl perché avevo fatto delle verifiche e avevo capito che era il Ministero della salute che non emetteva il certificato, o meglio ne ha emessi tre ma con codici diversi che non coincidevano, probabilmente c’era qualcosa di sbagliato nel codice fiscale. Salendo sul pozzo Roma sapevo benissimo che la questione sarebbe poi arrivata in numerosi tavoli, alla fine non so chi materialmente ha sbloccato il certificato ma di sicuro un po’ di merito lo hanno tutti, chiunque nel suo ruolo ha inciso per risolvere la situazione e per questo ringrazio chi si è adoperato».
Adesso per la donna potrebbero scattare altri problemi di natura giudiziaria legati al suo gesto. «La cosa mi preoccupa fino a un certo punto – spiega ancora Vasile – magari il giudice prende atto di quanto successo e rinuncia a procedere altrimenti andrò in giudizio, spero di trovare un amico avvocato che mi difenda gratuitamente oppure mi avvarrò del difensore d’ufficio e se verrò condannata pagherò senza problemi il mio debito con la giustizia, anche andando in carcere se questa sarà la sentenza. Però sono anche consapevole che c’è voluto questo mio “reato” per risolvere la situazione, per far capire che un inghippo può succedere a tutti e che serve una soluzione senza dover arrivare a gesti come il mio. Ci ho pensato, non è stata una scelta impulsiva, non volevo creare disagi alle altre persone, al massimo i problemi li passerò io, così mi sono armata di coraggio soprattutto per mio figlio che sta seguendo un progetto di vita indipendente che senza Green pass non poteva sicuramente continuare».
Il gesto di Simona Vasile risale alla mattina di martedì, quando la donna si è arrampicata per protesta a circa 20 metri d’altezza, sulla torre della miniera di pirite del pozzo Roma, a Gavorrano. «Resterò qua finché non mi avranno dato il Green pass per mio figlio disabile», ha detto, iniziando lo sciopero della fame. Alla fine il gesto è durato tre ore: nel primo pomeriggio il certificato verde è arrivato e la donna è scesa. Sotto la torre erano confluiti i carabinieri di Gavorrano, i vigili del fuoco, gli operatori del 118 e gli agenti della Municipale che hanno seguito l’evolversi della vicenda.