Giulio Andreani: la scuola non prepara, per trovare lavoro meglio i master
CARRARA. Alcuni anni fa, proprio sulle pagine del Tirreno ai giovani in cerca di un lavoro diede un consiglio preciso: «prendete un treno e andate via da Massa Carrara». Oggi il fiscalista Giulio Andreani torna a parlare di giovani e occupazioni. Con un messaggio preciso: «Scuola e università non servono a nulla se volete un posto di lavoro scegliete master di specializzazione». Ha parlato di questo e di molto altro nella nostra intervista.
Il mondo del lavoro in provincia dà segnali di ripresa?
«Ci sono in generale segnali che inducono a essere meno pessimisti che in passato. Il settore dell’escavazione ha recuperato i livelli di fatturato ante-pandemia, altri, come quello della nautica, vanno molto bene, altri ancora hanno cominciato a beneficiare dei fondi messi a disposizione dell’Unione Europea e i traffici portuali sono ripresi. Per contro, altri settori, come quelli del commercio e delle strutture ricettive, continuano a risentire della pandemia. Il fatto è che in un’economia globale, molto di quel che accade in uno Stato dipende da quanto succede negli altri paesi e nel 2022 l’economia mondiale supererà per la prima volta i cento mila miliardi di dollari, con Cina e India in crescita. Tuttavia, non mancano le insidie, costituite dall’evoluzione della pandemia e dal balzo dell’inflazione, che, se sarà persistente, rischia di causare nei prossimi anni una recessione e di creare ingiustizie sociali, perché non tutte le categorie sono in grado di reagire a tale fenomeno con la medesima rapidità ed efficacia».
Non mi pare del tutto ottimista……
«So bene che l’ottimismo è positivo per l’economia, tuttavia, è bene evitare di esaltarsi quando le cose vanno bene, come di abbattersi quando vanno male. Molti imprenditori finiscono falliti, perché, sulla base di eccessivo ottimismo, complici la megalomania e l’incompetenza, eseguono investimenti non necessari o pagano troppo quelli necessari, scoprendo quando è troppo tardi di non essere in grado di rimborsare i prestiti che hanno contratto per pagarli. Altri falliscono perché pensano che se le cose stanno andando bene, continueranno ad andare bene anche in futuro, mentre non è così. Intendo dire che le previsioni devono essere formulate con prudenza e competenza e che occorrono sempre idee nuove».
Soprattutto nel post-pandemia.
«Da quando è scoppiata la pandemia le imprese hanno beneficiato di un sistema protettivo mai visto in precedenza, costituito dalla sospensione di pagamenti di varia natura e dalla concessione di prestiti agevolati, di cui hanno beneficiato anche imprese che erano in crisi anteriormente al primo contagio da Covid e che in tal modo sono state artificialmente mantenute in vita anche se erano moribonde, allungandone l’agonia. Con il venir meno di tale sistema di protezione, nel 2022 queste cominceranno a saltare: si prevede che accadrà a circa il 30% delle piccole imprese, presso le quali lavorano 445 mila dipendenti. Il libero mercato è giusto: prima o poi presenta il conto e, allora, si può solo discutere di chi lo paga».
Presso quali aziende sarà più facile trovare lavoro?
«Direi presso le imprese di maggiori dimensioni, le quali hanno affrontato meglio delle altre la crisi degli ultimi due anni e possono guardare con maggior fiducia al futuro. In questa provincia di aziende di questo tipo ce ne sono ben poche. Quelle di minori dimensioni dovrebbero cercare di aggregarsi, superando le difficoltà che le unioni comportano, altrimenti rimarranno fragili e non creeranno nuovo valore».
Quali sono i requisiti necessari a suo parere per entrare nel mondo del lavoro?
«Bisogna essere, o avere le basi per diventare, degli specialisti. La peggior frase che si possa sentir dire è “ho fatto del mio meglio” oppure “ci ho messo tutto il mio impegno”, perché non basta. Nessuno vorrebbe essere operato da un chirurgo che fa del suo meglio, con il paziente che muore, ma dal chirurgo che sa fare il suo mestiere nel miglior modo possibile. Va da sé che per essere bravi occorre anche impegnarsi molto, ma l’impegno è il mezzo, non il fine. L’Italia è un Paese dove si produce trasformando materie in prodotti. Perché il consumatore finale dovrebbe comprare un abito italiano, un macchinario, un mobile o uno yatch italiano, che magari sono anche più cari dei prodotti concorrenti, se non perché li reputa migliori? Chi non ha competenze specialistiche fatica, specialmente se non proviene da un ambiente privilegiato, ed è costretto ad accontentarsi nella migliore delle ipotesi.
A un giovane che cosa consiglierebbe?
«I giovani partono con un handicap: quello della scuola, che da decenni non li prepara e tanto meno li forma, a qualsiasi livello, dall’istituto tecnico all’università. Basti pensare che oltre la metà delle materie che si studiano non servono a nulla. I giovani devono quindi innanzitutto colmare questa lacuna con corsi specialistici ed esperienze appropriate, specialmente in altri ambienti e altri luoghi, perché l’incontro con altre culture è sempre un arricchimento. Ciò, tuttavia, è spesso impossibile per coloro che non provengono da famiglie abbienti, e ciò costituisce la principale e più insopportabile causa dell’incremento dell’ingiustizia sociale registrato negli ultimi tempi. Tutte le difficoltà possono però essere superate. Per riuscirci bisogna fare ciò che si ama. Questo consiglio ai giovani: di cercare quel che amano e di farlo con incrollabile determinazione. Senza timore dell’insuccesso, perché, anche se si cade, l’importante è sapersi poi rialzare; ed è peggio non provare per il timore di cadere. Inoltre, li inviterei a ricordare sempre un principio presente nella preghiera di una tribù indiana, espresso nel tempo anche in diverse forme, che è più o meno questo: “vivi in modo da far sì che, quando giungerà la tua ora, tu non debba chiederne il rinvio per poter fare tutto quello che non hai fatto prima o per rimediare agli errori commessi”. Anche per i giovani il tempo è limitato: non lo sprechino, si impegnino e osino».
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