Carnevale di Viareggio, la domenica perfetta: file alle casse e maxifolla sui viali a mare

VIAREGGIO. C’è una frase che la Fondazione Carnevale dovrebbe scolpire alla Cittadella, dove si trovano i suoi uffici e il museo, o meglio ancora all’ingresso del circuito dei viali a mare. Dice così: «Potrei citare capolavori artistici o magnifici panorami naturali, ma citerò una scena che è un capolavoro allo stesso tempo – il Carnevale di Viareggio». A pronunciarla fu il drammaturgo Sinclair Lewis, primo americano a vincere il Nobel per la letteratura, che nel 1950 accogliemmo come ospite alle nostre sfilate. E chissà, magari avrebbe detto altrettanto del terzo corso mascherato di ieri.

Non sappiamo nemmeno da dove partire: dalla consueta tavolozza di colori che i tramonti di fine inverno sanno regalare a questa città, sfondo ideale per i carri che sfilano? Dalla sfacciata fortuna della presidente della Fondazione Carnevale Marialina Marcucci con il tempo, dato che il “vento burlone” e qualche nuvola presenti all’inizio sono poi volati via come coriandoli? Dai volti allegri e distesi tanto delle maschere che ballano sui carri quanto degli spettatori a terra che osservano divertiti il passaggio delle costruzioni? Dalle felpe arancio fluo dello Sturla Bar che dal palo 13 si è spostato davanti al Bagno Roma, eletto nuovo “villino” dalla Ciurma che ora fa bisboccia sulla carretta del Carnevaldarsena, attirando ancora tanti avventori? Vedete un po’ voi.

L’impressione è che la Fondazione Carnevale abbia ritoccato la capienza del circuito dei viali a mare: a giudicare dalle file gigantesche alle biglietterie e agli ingressi e guardando i video girati dai terrazzi della Passeggiata e dalla folla nella zona Royal, diventata ormai pietra di paragone per capire se al corso è venuta gente oppure no, ieri c’erano assai più di quarantamila presenze. Nulla d’illecito, in tal caso: la Fondazione ha ricevuto alla vigilia del primo corso l’autorizzazione per una capienza al cento per cento, salvo decidere d’imporsi ingressi contingentati per partire con cautela. Come a dire: siamo il primo grande evento in Italia ad andare in scena con le nuove misure in materia di contenimento dei contagi da Covid, le autorità ci seguono attentamente e non possiamo permetterci di fare brutte figure. E poco importa se ieri, per dirla con una vecchia canzone di Gualtiero Lami, c’era proprio quel “dolce sapore aria di festa”: le maschere del carro di Carlo Lombardi improvvisano un trenino stile Capodanno con il “Dove si balla” che sta riempiendo le tasche di Dargen D’Amico grazie ai diritti Siae, mentre quelle di Luca Bertozzi fischiettano “Domenica” di Achille Lauro sotto la sua perfetta riproduzione in cartapesta. Al sole brillano le stelline d’argento e oro sulle loro teste, così come brillano le spade di stagnola dei mostri di Luciano Tomei e l’armatura del Don Chisciotte di Jacopo Allegrucci, che quasi sobbalza sul libro grazie alle maschere che si mettono a saltare non appena le casse diffondono la melodia di «’O surdato’nnammurato». A proposito: proprio lì sotto, con il giubbotto dello staff del carrista, c’è Roberto Taddeoli con il suo immancabile “sighero” d’ordinanza. Quando è acceso, allora vuol dire che è Carnevale.

Un Carnevale che, secondo alcuni, avrebbe dovuto fermarsi giovedì scorso per via della guerra in Ucraina – posizione peraltro legittima e rispettabilissima, giacché ognuno ha una sua sensibilità al riguardo. Premesso che è dal 2014 che si combatte in quelle zone, ci limitiamo a raccontare un episodio: il 9 agosto del 1942, quel che rimaneva della Radio Orchestra di Leningrado eseguì la struggente “Sinfonia n. 7” del grande compositore Dmitrij Šostakovic mentre la città era tenuta ancora sotto assedio dai nazisti, tra le ovazioni del pubblico in platea. Paradossalmente, è nei momenti di maggior sofferenza che ci si avvinghia alle occasioni di svago e alle cose più semplici della quotidianità.

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