L’Azienda ospedaliera pisana condannata al pagamento di 331mila euro a una paziente. I medici attesero quattro ore in più rispetto alle indicazioni per un intervento di compromissione del midollo spinale
PISA. Un ritardo di almeno quattro ore prima di procedere con l’intervento necessario ad affrontare un problema sopraggiunto in fase post-operatoria, avrebbe precluso a una paziente di 56 anni la possibilità di raggiungere una completa guarigione. Di qui la condanna della Corte d’Appello di Firenze a carico dell’Azienda ospedaliera a risarcire la donna con 331mila euro per perdita di capacità lavorativa specifica e perdita di chance di guarigione.
In primo grado la paziente aveva ottenuto dal Tribunale di Pisa un risarcimento di 91mila euro. Una somma ritenuta non equa. Il ricorso in appello le ha dato in parte ragione: la richiesta era di oltre mezzo milione di euro.
La decisione di citare in giudizio l’Aoup risale al 2009 per effetto dei danni provocati dall’intervento chirurgico cui venne sottoposto il 20 gennaio 2009 quando «nella fase post-operatoria, veniva interessata da un’emorragia interna che, comprimendo il midollo spinale, causava una semiparalisi».
Per il giudice del Tribunale di Pisa «vi era stato un carente monitoraggio neurologico, dal quale era derivato un consistente ritardo nel successivo intervento chirurgico, ben otto ore dopo l’insorgenza dei primi sintomi, laddove invece la letteratura scientifica internazionale più accreditata prevedeva non più di quattro ore».
I consulenti nominati dalla Corte d’Appello sono stati chiari nel ritenere che «se la signora fosse stata tempestivamente sottoposta all’intervento chirurgico nell’arco delle quattro ore dalla comparsa dei primi sintomi del peggioramento delle sue condizioni, il danno neurologico alla compressione midollare sarebbe stato del tutto reversibile».
La paziente, è stato sottolineato nelle relazioni, non avrebbe subito alcun danno invalidante permanente o, tutt’al più, avrebbe subito conseguenze certamente di molto inferiori a quelle reali.
I problemi dopo l’operazione erano sorti intorno alle otto di sera. La priorità era quella di procedere alla decompressione midollare. Pratica corretta, ma eseguita alle 4.25 del 22 gennaio.
Scrivono i giudici d’appello: «Atteso che la diagnosi era sicuramente possibile quanto meno dalle 20 del 21 gennaio 2009, il danno neurologico ascrivibile alla compressione midollare sarebbe stato, con elevato grado di probabilità logico-scientifica, integralmente reversibile».
Quel ritardo ha pregiudicato per sempre la qualità della vita della paziente che va risarcita con 331mila euro a cui sommare gli interessi a partire dal giugno 2009.
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