Lapo Elkann parla al Tirreno: «Ferito dalla Piaggio. I Colaninno? Più finanzieri che imprenditori»
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Il presidente di Garage Italia Customs poi spiega la scelta di intitolare una Vespa a Giovannino Agnelli, morto 33enne
I ricordi della sua giovinezza da operaio “infiltrato” alla Piaggio (era il 1995, aveva 17 anni, e fu mandato alla catena di montaggio come da tradizione nell’educazione dei rampolli degli Agnelli), del suo “mito” Giovanni Alberto Agnelli (Giovannino, all’epoca presidente del Gruppo della Vespa, morto a soli 33 anni), destinato dallo zio Gianni a succedergli alla guida della Fiat, e il rammarico per il fatto che l’attuale Piaggio di Roberto Colaninno non trovi il modo per recuperare la memoria, celebrandola degnamente, di suo cugino. Lapo Elkann, attuale presidente di Garage Italia Customs, si racconta in questa intervista rilasciata a Il Tirreno a pochi giorni dalla decisione di intitolare a Giovanni Alberto Agnelli un’inedita Vespa 50 Special-e full electric.
Che sensazioni riceve ripensando all’esperienza di Pontedera come operaio metalmeccanico sotto mentite spoglie in Piaggio?
«Mi ricordo con grande piacere quelle bellissime terre in cui è incastonata la provincia di Pisa. Ho dei ricordi molto piacevoli. Compresi ovviamente quelli che mi legano ancora alla figura di Giovannino, persona di gran cuore prima di tutto. Contraddistinto da una grande visione e da un grande bagaglio costituito da amore per il lavoro, professionalità e serietà. Ha fatto grandi cose in Piaggio, continuando brillantemente sulla scia di quanto realizzato dalla nostra famiglia, a partire dal fondatore Enrico Piaggio (il quale sposò Paola dei conti Antonelli, vedova del colonnello Alberto Bechi Luserna, del quale adottò la figlia avuta da Paola, Antonella Bechi Piaggio, che andò poi sposa a Umberto Agnelli, ndr). In Piaggio c’ho lavorato in incognito tra i 18 e i 19 anni. Mi ricordo che mi avevano inserito nella squadra degli operai dedicati alla linea di produzione dell’allora Typhoon 50. C’era un bell’ambiente in fabbrica. Dormivo in una pensioncina nelle vicinanze dell’ingresso dello stabilimento. Andai avanti nelle vesti di Lapo Rossi fino a quanto potetti farlo. Un giorno venni scoperto da un compagno di reparto e la copertura saltò. Fu lui a dirmi davanti agli altri “Ma quale Lapo Rossi, tu sei Lapo Elkann, confessa!!!”. Mi aveva riconosciuto in una foto pubblicata da un giornale il giorno dopo una partita della Juventus a cui andai ad assistere allo stadio insieme a mio nonno Gianni».
Perché questa Vespa-omaggio per Giovannino?
«La Special 50 elettrica mi sembra il modo migliore per onorarlo. Rappresenta la dimostrazione concreta di quanto lui avesse sempre avuto la straordinaria capacità di guardare oltre, di leggere in qualche modo il futuro. Mi dispiace che questa iniziativa, la Vespa da intitolargli, sia stata del sottoscritto e di Garage Italia e Garage Italia Customs e non del Gruppo Piaggio. Con questo non voglio scatenare alcuna polemica nei confronti della proprietà di Piaggio, non affermo certe cose per avere il titolone sul Tirreno. Dico solo, però, che da parte di Colaninno mi aspetterei ad esempio che riportasse presto all’interno del Museo Piaggio l’effige di Giovanni Alberto Agnelli. È pur sempre un appartenente alla famiglia dei fondatori e, soprattutto, da lui arrivò in quegli anni un grande slancio di sviluppo. Ora c’è Colaninno a capo di Piaggio, ma la storia non si può cancellare e bisogna ricordarsi dei grandi nomi che ci sono stati in passato dietro quel marchio».
Come ha reagito la famiglia di Giovannino all’idea della Vespa in suo onore?
«Inizialmente ho cercato e trovato subito il pieno accordo dei miei collaboratori, a partire dall’amministratore delegato. È con grande felicità e fierezza che ho portato e porto avanti questa scelta. Giovannino lo considero in prima fila nella schiera dei miei angeli custodi, insieme a nonno e a Edoardo. Ovviamente, prima di procedere con la dedica della Vespa, ho chiamato Allegra (la seconda moglie di Umberto Agnelli, ndr) per informarla e presto donerò il primo modello alla figlia di Giovannino, Virginia Asia. La nostra famiglia, infatti, è ancora molto unita, anche se ovviamente, per i rispettivi impegni di ognuno di noi, non ci vediamo di certo tutti i giorni. Con la forza di questa unione abbiamo vissuto momenti straordinariamente belli, ma anche momenti molto brutti».
Tra quelli brutti ovviamente rientra la tragica fine di suo cugino...
«Ma anche tra i più belli. Perché Giovannino portava luce ovunque andava, con cordialità e gentilezza nei confronti di tutti. Oggi, nel mondo degli affari, è impossibile ritrovare una figura come lui. Ovviamente non voglio fare nomi, ma la maggior parte brilla per arroganza e presunzione. Giovannino impersonò davvero il motto che “i soldi non fanno l’uomo”. Era uno vero, era un puro. Mi dispiacque tantissimo quel giorno in cui, da operaio della Piaggio, fui praticamente costretto a scioperare contro di lui, ma non avevo alternative. Comprese subito. In famiglia era inoltre un padre e un marito esemplari. Nutro un sentimento speciale anche per la moglie Frances Avery e la figlia. Insomma, Giovannino non è passato. Continua ad essere futuro».
Nel nome di Giovannino cercherà di parlare con Roberto Colaninno?
«Sarei felicissimo di poter riallacciare i rapporti coi Colaninno. Loro sono più dei finanzieri che degli imprenditori, ma mi auguro di poter progettare un ponte costruttivo. Vorrei chiedergli di riportare sotto le luci l’esperienza della nostra famiglia in Piaggio. Il fatto, ad esempio, che il Museo Piaggio non sia intitolato a Giovannino mi ferisce. Vorrei che si rimediasse al più presto».
Che ne pensa della decisa sterzata verso l’elettrico e della scadenza del 2035?
«In questa risposta mi svesto da azionista di Exor e di Stellantis. Penso che il mondo dell’auto sia a un bivio e non debba che cambiare. Chi fa l’elettrico ora vede, ovviamente, la sua tipologia di crescita per il futuro. Musk, ad esempio, è pronto a scommettere sul fatto che tra pochi anni le auto vadano da sole. Assistiamo a una suddivisione del settore tra i costruttori di auto e i costruttori di tecnologia. Non sono un veggente ma vedo in futuro un mix tra i due scenari, anche se chi costruisce tecnologie ha più soldi per gli investimenti rispetto a chi costruisce auto. Mi spaventa questo ulteriore spezzettamento del mercato tra sempre più marchi. Ciò significa quanto la scelta fatta da mio fratello sia stata giusta. Ringrazio chi guida ora l’azienda, perché al futuro non si può che guardare in questo modo».
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