I beni estimati restano privati: lo conferma la Corte d’Appello
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Carrara, ribadita la sentenza di 1º grado, riguarda un terzo delle cave
CARRARA. Anche secondo la Corte d’Appello di Genova, i beni estimati sono da considerarsi cave private, e quindi un terzo circa del patrimonio delle Apuane carraresi non sono beni pubblici. I giudici di secondo grado hanno confermato l’impostazione data in primo grado dal tribunale di Massa quattro anni fa. La battaglia giudiziaria si concluderà probabilmente solo in Cassazione, mentre resta aperto il fronte legislativo, con una proposta di legge depositata alla Camera (ma finora mai portata in discussione), anche se ovviamente, di fronte a due sentenze di segno opposto, non è detto che il legislatore si prenda la briga di legiferare in senso contrario. Come osserva l’avvocato Riccardo Diamanti, una legge che stabilisse che i beni estimati sono pubblici, «sarebbe una forzatura inaccettabile, siamo in uno stato di diritto e il parlamento dovrebbe rispettare quanto stabilito dalla magistratura che è un’autorità indipendente».
Tornando alla sentenza, in diciotto pagine i giudici genovesi ripercorrono la plurisecolare vicenda e concludono che «Il quadro normativo sopra prospettato ha dato luogo ad una consolidata prassi negoziale e determinato la nascita e lo sviluppo di un diritto vivente conforme alla disciplina dei beni estimati come di natura privata. La prassi giurisprudenziale ed i numerosi atti negoziali riguardanti i medesimi beni risultano dai documenti in atti: atti di compravendita, contratti di affitto, espropriazioni individuali e collettive, in seguito alle quali i beni sono stati trasferiti al soggetto aggiudicatario, così come sentenze di accertamento dell’usucapione». Insomma, a risultare decisive al tirar delle somme non sono le interpretazioni da dare al famoso editto di Maria Teresa Cybo Malaspina del 1751, ma tutto quello che è successo nei 251 anni successivi fino ad oggi. E conclude la Corte d’Appello: «Alla luce di tutti gli argomenti esposti, deve accertarsi l’infondatezza delle censure svolte dal Comune appellante alla pronuncia di primo grado, con conseguente conferma integrale della stessa».
Esultano gli imprenditori titolari di beni estimati, quasi tutti assistiti dagli avvocati Riccardo Diamanti, Sergio Menchini, Giuseppe Morbidelli, Antonio Lattanzi, Roberto Righi; Figaia Cave aveva Riccardo Diamanti e Luigi Cocchi; Gemignani e Vanelli, avvocati Mario Pilade Chiti, Antonella Vergine, Roberto Martini; Ingra, Sergio Menchini e Giovanni Maria Altadonna.Sul piano pratico, il Comune (era assistito dall’avvocato Domenico Iaria) continuerà a non poter riscuotere il canone di concessione sulle cave e sulle porzioni di cava private; e, in ottica di concessioni all’asta, se in questo quarto di secolo non interverranno modifiche (o sul piano giudiziario o, con tutte le problematiche di nuovi contenziosi anche in sede europea, legislativo), ovviamente le cave private non andranno all’asta.Nella sua difesa, il Comune ha provato a contestare la sentenza di primo grado, in particolare dove riteneva che l’Editto di Maria Teresa Cybo Malaspina del 1751 fosse di esemplare chiarezza espositiva, «omettendo di valutare la complessità del lessico e il richiamo alle disposizioni Albericiane in esso contenute».Il Comune affermava, inoltre, che il successivo Editto teresiano del 1771 e, ancor prima, il Rescritto Ducale del 1753, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di Massa, non confermavano in alcun modo la natura privata dei beni, così come la Notificazione Governatoriale del 24 settembre 1823».
Ma a pesare come un macigno sono state le parole della Corte Costituzionale, ricordate anche in secondo grado: "Le vicende successive all’editto del 1751, dunque, sono segnate da una sequenza di plurisecolari inefficienze dell’amministrazione, che hanno impedito le verifiche e gli accertamenti necessari a porre ordine alla materia. Tuttavia, è un dato storicamente incontrovertibile che nel diritto vivente venutosi a consolidare nei secoli diciannovesimo e ventesimo, i beni estimati non sono trattati come beni appartenenti al patrimonio indisponibile del Comune, al quale dal 1812 erano stati trasferiti i beni delle vicinanze allora abolite. È un fatto che il Comune di Carrara non ha mai incluso i beni estimati tra quelli appartenenti al proprio patrimonio indisponibile; e che, quando, nel 1994, ha adottato il suo primo regolamento che, ai sensi della legge mineraria del 1927, poneva fine alla vigente legislazione estense, quei beni non sono stati trattati". Insomma, se i cittadini di Carrara non sono più proprietari di un terzo delle cave, sanno con chi prendersela: non con gli industriali che ovviamente fanno il loro gioco, ma con chi ci ha amministrato per decenni e secoli «in modo inefficiente» (lo dice la Corte Costituzionale...).