E il gerarca Farinacci disse: «Questo matrimonio non s'ha da fare»

Figura centrale del Fascismo, il ras di Cremona è stato protagonista di una vicenda dove s’incrociano conflitti familiari e ragioni di regime. Attraverso quasi 600 lettere visionate in esclusiva da Panorama, si scopre come si oppose con ogni mezzo - servizi segreti inclusi - all’amore della figlia per un uomo che lui disapprovava. Anche perché avrebbe danneggiato la sua reputazione pubblica.

E' la storia di un «amore incatenato». Ossia del tentativo, ostinato e protervo, da parte del superfascista ras di Cremona Roberto Farinacci, d’impedire il matrimonio della figlia con un modesto farmacista. Una violenza che, tuttavia, esce dagli argini della semplice vicenda privata, perché l’assedio del gerarca, nei confronti dei due amanti clandestini, durò anni, e si avvalse degli strumenti di coercizione dello Stato fascista: la coppia venne infatti spiata, pedinata, intercettata e minacciata dagli apparati di Pubblica sicurezza. Il retroscena emerge da uno straordinario carteggio, di quasi 600 lettere inedite, che la giovane si scambiò con lo spasimante, poi divenuto suo marito. Epistolario di cui non si conosceva l’esistenza e che presentiamo in esclusiva ai lettori di Panorama. Per prima cosa, i protagonisti. Roberto Farinacci, segretario del Partito nazionale fascista nel 1925-26, è uno dei 10-12 personaggi principali del Ventennio. Leader della fazione intransigente, legata al primo squadrismo, è a capo di un autentico potentato politico, economico ed editoriale, in cima al quale vi era il suo quotidiano, Il Regime Fascista. Benito Mussolini si serve di lui per instaurare la dittatura, ma in verità lo teme, perché Farinacci fa politica con mezzi propri e per vent’anni incarna una vera corrente di minoranza, interna al partito.

Veniamo ora ai novelli «Renzo e Lucia». Lei, Adriana, secondogenita del ras, è nata il 26 marzo 1919, ossia tre soli giorni dopo la fondazione, a Milano, dei Fasci di combattimento. Un destino tutto iscritto in quella data: il carisma paterno l’affascina a tal punto da fare di se stessa la sua prima discepola, perché la ragazza adora il padre. Lui, Palmiro Mola, detto «Miro», nato il 10 luglio 1905, è un bell’uomo, alto, ottimo sportivo. Artigliere, e vogatore sul Po, ha un temperamento filosofico e meditativo. Quando, nel marzo del 1934, Adriana comincia a ricevere le attenzioni, e le missive, di Mola, lei ha 15 anni, lui è ormai quasi trentenne e non ha ancora trovato la donna della vita. La figlia del ras è un’adolescente dagli occhi scuri e dai capelli corvini: non alta di statura, a Cremona vive immersa in un’atmosfera di privilegio assoluto, grazie alla protezione del genitore. Il favore di Farinacci, che nutre per lei una speciale predilezione, con punte di vera gelosia, rese la ragazza viziata e capricciosa. Ma la giovane donna non è soltanto questo: è intelligente e volitiva. Ogniqualvolta individua qualcosa, sa come poterci arrivare. Quando la liaison tra il corteggiatore e la ragazza viene scoperta dal gerarca, presto scattano le misure per contenerla e impedirla.

L’entourage farinacciano reagisce alimentando una cortina di sospetto, e di maldicenza pilotata ad arte, nei confronti di Mola. La relazione viene dunque a lungo osteggiata dal gerarca, il quale teme di essere danneggiato nel giudizio popolare, a causa di quell’unione, segnata da un’inaccettabile disparità sociale (Mola, come detto, era un semplice farmacista) e di età: è maggiore di Adriana appunto di 14 anni. L’esponente fascistissimo pretende, in sostanza, di tenere sotto chiave il cuore della figlia. Esercita pressioni su di lei, come sul giovane, per ottenere che i due tronchino la relazione, fino ad allora soltanto platonica. Ma non raggiunge il suo obiettivo. Adriana, determinata, è certa di amare Palmiro ma, al tempo stesso, non vuole sfidare apertamente le ire del bellicoso genitore. Ecco che, per eludere il controllo sulla corrispondenza e sulle altre comunicazioni, gli amanti escogitano stratagemmi. Fanno spesso recapitare le loro lettere - sigillate e contrassegnate, in modo da poter rilevare possibili manomissioni: tra le accortezze adottate, quella di scrivere a macchina i rispettivi indirizzi - da amici, per evitare il rischio che possano finire intercettate e aperte. Anche nelle telefonate sono prudenti. Adriana chiama Palmiro da una cabina pubblica e lo raggiunge, su appuntamento, all’apparecchio privato di un suo amico.

Ma nonostante le cautele, il terrore di essere colti, intercettati, è grande. E il «crac» avviene nel gennaio del 1936, quando il ras, stanco di essere sfidato dall’ostinazione della coppia, decide di trasferire la figlia a Roma, dove potrà continuare gli studi, controllata da agenti di polizia, attivi per impedire la prosecuzione delle comunicazioni. Funzionario della Regia questura della Capitale è infatti uno dei fratelli del gerarca cremonese, Peppino, il quale si incarica di gestire l’affaire. In pratica, Adriana diventa vittima di una sorta di sequestro. Che si tratti di un momento di svolta, nell’intensificazione della sorveglianza sulla coppia di innamorati, lo si capisce dal contenuto delle missive di Mola. Se, fino ad allora, Farinacci si è potuto avvalere di mezzi esclusivamente propri per impedire la relazione tra i giovani, da qui in poi le cose prendono una piega diversa. Il ras, infatti, non si limita più a utilizzare i suoi uomini, per far opera di coercizione, ma ricorre a strumenti dello Stato. Il grado di sofisticazione adottato per violare corrispondenza «sigillata» rimanda subito a metodi altamente specializzati, quelli di professionisti dei servizi. Nell’aprile del 1936, i due amanti tentano di organizzare un incontro ad alto rischio, a Roma, ma Adriana non riesce a trovare un luogo che li ospiti: nessun alberghetto a ore, infatti, accetta di prenotare una camera a nome della figlia minorenne di uno dei più potenti uomini d’Italia. La relazione è definitivamente svelata.

Il 21 aprile, Mola è convocato, a sorpresa, dal questore di Cremona, Luciano Greco, che lo sottopone a un terzo grado: «Lei è ancora fidanzato con la signorina Adriana Farinacci?». La risposta si ritrova in una lettera del carteggio del successivo 28 aprile, dove «Miro» racconta alla ragazza l’episodio inquietante: «Risposi esattamente: “Non credo di essere tenuto a illuminarla su questa domanda poiché la cosa non la riguarda”. Greco mi guardò con aria irritata e meravigliata, ma in quello stesso momento entrò il vicequestore De Nicolai che mi salutò cordialmente e con il suo intervento il colloquio assunse un tono tranquillo e... famigliare. Greco mi disse di essere informato e di avere le prove ch’io dovevo partire la sera stessa per Roma e che al mattino seguente noi ci saremmo visti in una stanza. Ammisi che avevo deciso di partire ma negai con tutte le mie forze la seconda parte della sua affermazione. Mi credettero e mi consigliarono di rinunciare a questo viaggio pericoloso - mi assicurarono che tuo padre non sarebbe stato informato di nulla e che con il tempo anche lui dovrà cedere di fronte al nostro amore.

Mi dissero che i loro consigli erano fraterni! Ma come prestar fede alla loro parola? A me non importa più nulla Adriana. Non temo nessuna conseguenza e nessuna vendetta». Da quel momento, i due amanti adottano misure ancora più drastiche per mantenere la loro relazione. E quindi, per rendere più complicate le manomissioni della posta, lui le consiglia di sigillare le buste della loro corrispondenza con uno strato di «resina indiana» e, pochi mesi più tardi, Adriana organizza un altro appuntamento amoroso, questa volta a Cremona, nella casa di un’amica compiacente. In una lettera del 28 settembre 1936, così lei gli si rivolge: «Io voglio vederti ancora, voglio stringerti ancora, voglio baciarti tanto. Miro, amore grande, amore caro, non puoi negarmi questo diritto. Sono sette mesi che ti sono lontano, sono sette mesi che soffro, che ti amo, che ti desidero pazzamente».

Non sappiamo se gli innamorati, forzatamente divisi, in quell’occasione si poterono riabbracciare. Quel che è certo è che Farinacci, alla fine, dovette piegarsi all’ostinazione sentimentale della figlia. Il ras, curiosamente, mise in chiaro i «patti matrimoniali», con il futuro genero, alla fine di agosto del 1937, portandolo con sé in volo, a oltre mille metri di quota, mentre, probabilmente, com’era sua solito, pilotava l’aereo. Le nozze furono celebrate, con enfasi fascista, a Cremona, il 2 giugno 1938. La coppia avrà due figli. Farinacci sarà fucilato dai partigiani, a Vimercate (MB), il 28 aprile 1945. Mola verrà a mancare nel 1970. Adriana gli sopravvivrà fino al luglio del 2008.