Anche in India per una donna rifiutare il matrimonio combinato può essere pericoloso
Per una forma di rispetto e un po’ per scaramanzia, ho atteso a lungo prima di scrivere di Saman Abbas, ma ora che le speranze sono pressoché svanite, rompo gli indugi, anche per chiarirmi qualche dubbio.
Da circa vent’anni con “Vivere con Lentezza” favoriamo gli studi nelle bidonville di Jaipur (India), con il passar del tempo sempre di più quelli delle bambine e delle ragazze, che sono la parte più debole di questa società. Ultimamente tre delle ragazze che sosteniamo fin da piccole si sono sposate, due lavorano e frequentano un corso universitario online e la terza una scuola professionale.
In due hanno rifiutato il matrimonio combinato con due uomini molto più vecchi di loro, mentre l’altra ha accettato la proposta della famiglia. Per quest’ultima si è trattato di una scelta concordata, trattandosi del ragazzo che le piaceva da sempre e grazie al quale è andata a vivere in una situazione meno degradata. Per le altre due le cose sono andate meno pacificamente, una coppia è stata espulsa violentemente dalla comunità, tanto da dover ricorrere alle cure ospedaliere. Una volta venuti a conoscenza dei fatti li abbiamo aiutati e adesso tutti e due lavorano, e vivono in una stanzetta in muratura fuori dallo slum, con bagno, un vero lusso.
Per l’altra e suo marito, la faccenda è stata molto più complessa, trattandosi di amore non solo fra due persone di religioni diverse (Islam e Induismo), ma anche entrambe fuori casta (Dalit) e provenienti da stati diversi, Bihar e Rajasthan. Espulsi a forza dalla comunità con scontri tra le famiglie sedati dalla polizia. Abbiamo aiutato anche loro a trovare una dimora, fortunatamente lui lavora e tra poco ci renderanno “nonni”.
Per quanto mi risulta in India in questi ceti, ma anche in quelli superiori, certi usi e tradizioni sono molto simili al Pakistan, e indipendentemente dalla religione rifiutare il marito scelto dalla famiglia può essere pericoloso, tanto. Il matrimonio combinato rappresenta ancora una percentuale molto elevata dei matrimoni, nei villaggi la totalità, e le edizioni domenicali dei quotidiani abbondano di inserti di annunci matrimoniali sia per Lui che per Lei.
La situazione delle donne però è diversa e spesso si tratta di questioni economiche: se vivendo nei loro paesi le ragazze rappresentano un peso per via della dote a cui provvedere, in Europa per le ragazze provenienti da India e Pakistan, il loro peso può trasformarsi in merce di scambio, in quanto il matrimonio con un connazionale non residente può garantirne l’ingresso privilegiato (come nel caso di Saman).
In altre situazioni i matrimoni non sono combinati e se lo sono non si trasformano necessariamente in forzati: le famiglie attendono fino a che il ragazzo o la ragazza trovano la persona giusta, si tratta dei cosiddetti “love marriage” che, per conformismo, si preferisce non pubblicizzare. La filosofia dell’“ama chi sposi” resiste in opposizione allo “sposa chi ami” che per lo più vige da noi. Fin qui forse nulla di nuovo, è molto probabile che le nostre ragazze abbiamo fatto le loro scelte, anche perché frequentando scuole non fondamentaliste e vivendo in un mondo sempre più interconnesso hanno conseguentemente deciso di diventare protagoniste delle loro vite.
Ma se per un verso sono felice, dall’altro temo che decisioni non abbastanza preparate e non protette, sulla base di questi esempi, possano procurare a chi vorrà praticarle gravi problemi anche sul piano dell’incolumità fisica. La parte più conservatrice delle comunità non apprezza certe azioni, anche se si limitano al provvedere agli studi e ad alcuni generi di prima necessità come gli assorbenti. In un’area del mondo che conta oltre un miliardo e seicento milioni di persone, ancora oggi non si avvertono anche gli effetti positivi della globalizzazione.
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