Dietro il giallo di Mayerling le prime scosse all’Impero nell’Europa verso il baratro
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L’editrice MgsPress ripropone due classici che rievocano la morte violenta dell’erede al trono ed unico figlio maschio di Francesco Giuseppe: i memoriali di Elena Vetsera e di Maria Valeria d’Asburgo
TRIESTE Gli anni del ‘Finis Austriae’ raccontati dagli scritti di due donne, due classici, che la casa editrice triestina Mgs Press ripropone ai lettori. Il primo è “Mayerling. Il memoriale”, di Elena Vetsera (80 pagine, € 10), tradotto da Silvana Vassilli; il secondo è “La prediletta. Il diario della figlia di Sissi”, di Maria Valeria d’Asburgo (304 pagine, € 22), tradotto da Flavia Foradini e giunto alla sua quarta edizione. Centrale in entrambi è la tragedia di Mayerling, avvenuta tra le 6 e le 7 del mattino del 30 gennaio 1889 nel castello di caccia degli Asburgo, dove vengono trovati i corpi senza vita dell’erede al trono Rodolfo e della baronessina diciassettenne Mary Vetsera.
Un doppio suicidio, un omicidio-suicidio, un doppio omicidio… Da oltre 130 anni si rincorrono una ridda di ipotesi negli articoli dei giornali, nei libri di storia, nei romanzi, nei film, nelle serie tv, negli spettacoli teatrali. Favoriti anche dalla complessa figura di Rodolfo, figlio indocile e critico nei confronti dell’establishment che sostiene suo padre e domina la duplice monarchia.
Ma al di là di quel che è realmente accaduto dietro quella porta, rappresentata nella copertina del memoriale, la morte violenta dell’unico figlio maschio di Francesco Giuseppe costituisce un forte segnale che il più grande impero d’Europa, multietnico e plurilingue, è senza futuro.
L’istituzione sopravviverà al principe ancora ventinove anni per finire cancellata dalla Grande Guerra.
E anche Maria Valeria nel 1897, con oltre vent’anni d’anticipo, nel suo diario annuncerà la prossima fine dell’impero: “Vi sono fermenti ovunque nella povera, poliglotta Austria, e il verificarsi di una rottura più grave e più gravida di conseguenze è certo solo una questione di tempo”. Senza dubbio memore della lettera d’addio del fratello.
Il diario della prediletta, così chiamata perché nei suoi confronti si manifesta l’amore materno di Sissi, lesinato agli altri figli Rodolfo e Gisella (la quarta, Sofia, era morta a due anni). Un amore ingombrante perché il forte e bizzarro carattere della madre costringe la figlia a “essere” ungherese.
Elisabetta, che adora il Paese della puszta, la fa nascere nel castello di Gödöllö e la costringe a parlarle e scriverle in quella lingua. Valeria per reazione diventerà germanofila e amerà l’Austria quanto sua madre la detestava. Il diario di Valeria è una preziosa miniera di informazioni sulla famiglia imperiale e, in particolare, sulla madre con cui lei, volente o nolente, è la più intima. Sono efficaci i ritratti che lei fa del padre, quando racconta di essere stata per ore a guardarlo lavorare, mentre lui, alzando il capo dalle carte, le chiedeva se non si annoiasse, e ancora della sorella con la quale sarà più legata per confortare il padre dopo la tragica morte di Sissi a Ginevra per mano dell’anarchico italiano Luigi Lucheni. Inoltre, e lo dice chiaramente, non si sente legata al fratello Rodolfo che è contrario al suo matrimonio con Francesco Salvatore, discendente da un ramo collaterale degli Asburgo-Lorena.
Con Mayerling cambia tutto: il diario di Valeria perde quel tono a volte leggero, ingenuo e semplice di una giovane ragazza e diventa il diario di una donna che s’interroga, come gli altri famigliari, sul perché sia avvenuta la tragedia, sul perché nessuno avesse colto per tempo i segni del profondo malessere di Rodolfo.
Elena Vetsera, madre di Mary, la giovane vittima di un amore folle, racconta invece la “sua” verità per salvaguardare la reputazione della figlia e anche per riabilitare se stessa. È chiaro che il documento costituisce la difesa della baronessa Elena, la cui reputazione “non si poteva definire buona”, come scriverà, maligna, nel suo diario la contessa Maria Luisa Larisch-Wallersee, che Elena considera responsabile dell’atroce morte della figlia. Elena è vedova da due anni nel 1889 e si dà da fare per sistemare le figlie. Il marito Albin Vetsera, era un diplomatico di 22 anni più vecchio di lei, nominato barone, da cui ha avuto quattro figli. Il suo status le permette di frequentare l’aristocrazia, ma non la Corte anche se conoscerà la famiglia imperiale e si vocifera pure di una sua fuggevole frequentazione con il kronprinz. Un’ombra su Elena che avrà conseguenze pesanti.
È la “diffamazione che non si è fermata nemmeno davanti alla sublime serietà della morte e alla più terribile disgrazia” scrive Elena, che sente il dovere di spiegare i fatti per quanto “sia doloroso renderli di pubblico dominio”. Lei parla in terza persona, si definisce “la baronessa” e chiama la figlia “la baronessina”, un distacco che dopo le pagine iniziali viene superato dagli sfoghi contro la Larisch in primis, ma anche per essere stata tenuta all’oscuro di tutto. Deve infatti ricostruire dalle lettere della figlia alle amiche e da altre fonti i fatti accaduti fino alla fuga di Mary con Rodolfo, orchestrata dalla Larisch.
Poi ci sarà la denuncia della scomparsa della figlia al capo della polizia, quando già gli altri sanno della tragedia e cominceranno le ricostruzioni più fantasiose tra cui quella che sia stata Mary ad avvelenare se stessa e il principe. Un “oltraggio”, l’ennesimo, che la fiacca completamente. Lascia Vienna perché così le viene ordinato. Non è persona gradita. Resterà ai margini di quella società in cui aveva brillato per anni. Per il resto della vita sarà una piccola figura vestita di nero che ogni anno visiterà il piccolo cimitero di Heiligenkreuz dov’è sepolta Mary, via da Vienna per dimenticarla. —