«Il vero “salto di qualità” della ’ndrangheta in Emilia? La capacità di infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale»
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Pubblicate le motivazioni della sentenza di secondo grado: «Una coesistenza sinergica della tradizionale area “militare” con quella moderna “imprenditoriale” alimentava una spirale potenzialmente senza fine»
REGGIO EMILIA. «La capacità di infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale rappresenta il vero “salto di qualità” della presenza della ’ndrangheta nel territorio emiliano» e l'aspetto «che maggiormente evidenzia il suo carattere autonomo rispetto alla casa madre cutrese». Lo scrivono i giudici della Corte d'Appello di Bologna Alberto Pederiali, Maurizio Passarini e Giuditta Silvestrini nelle motivazioni di 2.583 pagine depositate oggi alla sentenza di secondo grado del processo Aemilia contro la 'ndrangheta, pronunciata il 17 dicembre del 2020 nell'aula bunker del carcere di Bologna contro 129 persone, condannate in totale a 712 anni di carcere.
Nelle motivazioni emerge un preciso «modello di business» messo in atto dalla cosca: «Non è emerso alcun elemento probatorio che susciti anche solo il sospetto che in tale ambito venissero impartiti ordini o anche solo che il sodalizio emiliano informasse o tenesse aggiornato il capo cosca cutrese (Nicolino Grande Aracri, ndr), eccetto nei casi in cui quest'ultimo non avesse un interesse particolare avendo egli investito denaro nel singolo affare o essendo destinatario di una parte dei profitti».
Oltre alla protezione di poliziotti corrotti (un caso su tutti quello dell'ex autista del questore di Reggio Domenico Mesiano), contatti con la politica (ne è esempio la «cena delle beffe» del 2012 con l'esponente di Forza Italia Giuseppe Pagliani) e «il tentativo di strumentalizzare i mezzi di comunicazione per nascondere la presenza della 'ndrangheta sul territorio reggiano», il sodalizio «calabrese», ricorreva poi a «metodologie di azione più raffinate che facevano leva sulla capacità operativa di creare facile ricchezza illecita appetibile da più parti del ceto imprenditoriale emiliano».
Il quale «in tale modo, si è lasciato avvicinare per entrare in affari illeciti allettato dalla prospettiva di trovare canali di recupero dei crediti rapidi ed efficaci o facili e rapide soluzioni alla situazione di crisi economica in cui si era venuti a trovare».
Ma la cosca «era poi in grado di trasformarsi palesandosi come il più feroce degli aguzzini pronto a depredare, financo cannibalizzare, quegli stessi imprenditori che al sodalizio si erano rivolti convinti di trovare una facile soluzione ai loro problemi».
«Tra le caratteristiche proprie del sodalizio emiliano che ne autenticano la propria autonomia rispetto alla cosca cutrese vi è proprio quella di operare su due piani che all'esterno appaiono come due rette parallele che non si incrociano mai, l'una rappresentata dai personaggi appartenenti all'imprenditoria di successo, privi di precedenti penali, in grado di creare ricchezza e posti di lavoro come i Giglio, i Floro Vito, i fratelli Vertinelli, e l'altra rappresentata dagli esponenti che i collaboratori chiamano “uomini di strada”.
Cioè «coloro che all'esterno si guardavano bene da avere manifesti rapporti con i primi e che intervenivano ricorrendo alla bisogna ad azioni violente e minacciose commettendo usure, estorsioni, incendi e, se del caso, anche omicidi».
Dunque, «non si trattava di rette parallele, ma invero i due sistemi operavano in stretta collaborazione: una coesistenza sinergica della tradizionale area “militare” con quella moderna “imprenditoriale”, coniugando vecchie e nuove modalità di azione, in grado di alimentare la capacità di infiltrazione della consorteria in una spirale potenzialmente senza fine».
Aspetti tipici del fare affari della 'ndrangheta erano infine «la frenetica e lucrosa attività di falsa fatturazione effettuata tramite anche società intestate a compiacenti prestanome» e la possibilità di praticare prezzi assolutamente concorrenziali rispetto agli imprenditori onesti «grazie alla capacità di reperire risorse strumentali tramite canali illeciti (come gasolio e pneumatici) e alla continua e ingente disponibilità di risorse finanziarie provenienti dal reimpiego di capitali illeciti provenienti dalla Calabria».