Nel terzo millennio tornano d’attualità i romanzi d’appendice di Carolina Invernizio
Nata nel 1851 a Voghera, ha all’attivo un centinaio di opere riscoperte con successo dalla casa editrice Yume di Torino
“Il bacio di una morta”, “Sepolta viva”, “Passione mortale”. Oppure “La peccatrice”, “I drammi dell’adulterio”, “Amori maledetti”: sono uno più scabroso dell’altro i titoli che compongono la vastissima produzione letteraria di Carolina Invernizio, scrittrice vogherese dimenticata dalla sua città natale ma con all’attivo un centinaio di romanzi d’appendice e una ventina di trasposizioni cinematografiche. Le sue opere più famose sono in questi anni oggetto di un’operazione editoriale di sorprendente successo portata avanti dalla casa editrice Yume di Torino, impegnata a pubblicare in una veste rinnovata quelli che all’epoca erano libri amatissimi dal pubblico femminile, e che oggi in realtà sono in pochi a conoscere.
A cavallo fra thriller, horror ed erotico, le trame della Invernizio appassionavano le signore dell’alta società ma facevano inorridire i critici, al cui giudizio negativo (basti pensare che Gramsci le diede addirittura dell’“onesta gallina”) si deve probabilmente l’oblio a cui è stata condannata. Un destino ironico, soprattutto se pensiamo che sulla sua tomba l'editore Salani (per cui la Invernizio sfornava un libro all’anno) fece apporre addirittura una corona di bronzo con la scritta «Il suo nome non sarà dimenticato».
Nata a Voghera nel 1851 ma poi vissuta tra Firenze, Torino e Cuneo, Carolina Invernizio rappresenta un caso decisamente interessante nel panorama della letteratura di quel periodo: fu tra le prime scrittrici (se non la prima) a pubblicare romanzi gialli in Italia, adattando al gusto del Belpaese quell’inclinazione al gotico che già da un secolo spopolava in Inghilterra. Non che lo facesse con troppa consapevolezza, dal momento che i suoi orizzonti letterari non erano così ampi: «Più che dal punto di vista strettamente letterario – spiega Gianfranca Lavezzi, docente di letteratura all’Università di Pavia e presidente del Centro Manoscritti – i suoi testi sono interessanti per quello della sociologia della letteratura, perché è un’autrice che potremmo definire seriale, capace di assecondare le preferenze del suo pubblico senza temere di sfiorare argomenti troppo audaci, né di portare in scena il fascino proibito e morboso di certe tematiche ostracizzate dalla morale dell’epoca».
Sessualità repressa e inibita, sadismo inquietante, prostituzione, povertà, adulterio e persino un pizzico di necrofilia sono solo alcuni degli ingredienti conturbanti con cui la Invernizio era solita condire i suoi libri, nei quali di fatto si rispecchiavano le fantasie oscure e i desideri reconditi delle casalinghe dell’alta società.
«Non avendo l’autrice una grande formazione (aveva interrotto presto gli studi) - dice Lavezzi - gli stilemi che utilizzava erano a volte ingenui, e non di rado scivolava sull’utilizzo di stereotipi radicati. Bene e male, per esempio, erano sempre ben distinti, e la donna poteva essere una crudele femme fatale o una vergine innocente. Certi suoi limiti (quelli che la critica non ha mancato di sottolineare aspramente) sono però stati compensati da una penna corrente, da una fantasia fervida e dalla capacità di attingere con intelligenza alla cronaca dell’epoca».