Diana, perché ancora oggi è un’icona di stile difficile da superare
Quando Diana ci ha lasciati nel 1997 aveva solo 36 anni. All’epoca era una giovane donna divorziata che per ritagliarsi un nuovo posto nel mondo aveva mille progetti in testa. Appesa la tiara al chiodo, sapeva che per qualsiasi cosa avesse avuto in mente avrebbe trovato un vestito non solo adatto ma efficace dal punto di vista comunicativo. La moda per lei è stata la fedele alleata di sempre, un linguaggio che l’ha aiutata a superare i momenti più difficili della sua breve esistenza terrena passata sotto i riflettori.
Oggi 1 luglio, se un’infinita serie di «se» si fosse concatenata in maniera diversa, il personaggio più influente in fatto di stile del XX secolo avrebbe compiuto sessant’anni. Il suo destino si è compiuto uscendo proprio da una porta girevole, una sfortunata sliding door che l’ha portata a finire i suoi giorni contro un pilone di un ponte di Parigi invece che a vivere circondata dall’amore dei suoi figli e dei suoi nipoti.
Aggiungeremmo solo un altro «se» se provassimo a immaginare quali abiti indosserebbe oggi, riducendo il periodo ipotetico a un semplice esercizio di stile che però nulla avrebbe a che fare con il suo guardaroba. Cosa aveva di così magnetico Diana? Perché guardiamo ancora rapiti le fotografie con i suoi outfit? Le ragioni sono tante, alcune sicuramente pianificate a tavolino ma ciò non toglie che la principessa avesse un talento innato per intercettare il look giusto al momento opportuno. Per tentare di capire come ha fatto a stregarci così, ecco dieci motivi che rendono Diana una fashion icon difficile da superare a distanza di più di vent’anni.
1. Ha portato una rivoluzione glamour a Buckingham Palace
Diana ci ha messo solo 16 anni per diventare un mito. Dal fidanzamento nel 1981 al tragico schianto del 1997, la principessa ha passato varie fasi che venivano di volta in volta etichettate dalla stampa. Da Sloane Ranger a Shy Di, arrivando a Dinasty Di fino alla stagione di sensualità a corte che andava di pari passo con quella umanitaria degli anni 90: ogni uscita scolpiva il suo outfit nella leggenda, anche quando sbagliava a vestirsi. Gli abiti a pois, le calze colorate, le spalle in vista, le mise divertenti, gli abiti smodatamente disneyani, sono stati tutti azzardi che hanno scosso i rigidi cerimoniali e il temibile protocollo controllato dal personale di palazzo sempre pronti con il centimetro a misurare gonne e scollature.
2. Ha dato fiducia a talenti emergenti
Quando Diana ha cominciato il suo percorso reale poteva andare molto più sul sicuro scegliendo per il suo debutto griffe di fama consolidata. Invece si è messa a fare la talent scout, intercettando quelle energie fresche che si muovevano nelle sartorie di Londra. Il suo abito da sposa è stato disegnato nel 1981 da David ed Elizabeth Emanuel. I due stilisti avevano cominciato la loro avventura solo quattro anni prima e, dopo il vestito delle nozze, l’hanno vestita a lungo dopo quell’appuntamento con la storia.
In quello stesso periodo nasceva il brand di Catherine Walker, la designer che l’ha accompagnata per tutta la vita. A cavallo tra gli anni 70 e 80 sbocciavano gli atelier di talenti come Jasper Conran, Bruce Oldfield, Victor Edelstein e, successivamente, Diana ha creduto fin da subito in giovani al loro debutto come Amanda Wakeley e Jacques Azagury, solo per citarne alcuni. Ovvio che queste scelte hanno portato una ventata di innovazione nell’immagine di una compassata famiglia reale poco incline ai cambiamenti, figuriamoci quelli in fatto di stile. E al contempo la principessa ha promosso nel mondo l’industria della moda britannica dandole una ribalta internazionale.
3. Comunicare con gli abiti
Una qualità che tutti gli stilisti che hanno lavorato con lei le hanno sempre riconosciuto è l’empatia. È per questo motivo che quando commissionava un abito per un impegno reale cercava sempre di trovare un modo di rendere omaggio all’occasione o al luogo che la ospitava, lavorando a stretto contatto con il team creativo. Per gli eventi in Scozia si presentava in tartan, per andare a Hong Kong si è diplomaticamente trasformata nella perla d’Oriente con il celeberrimo Elvis dress, per vendicarsi del marito si è infilata in un tubino nero attillato e scollato di Christina Stambolian dando il via al filone dei revenge dress che la storia del costume ci avrebbe poi regalato con altre celebrities.
4. Vestirsi con cura
Oltre alla toilette, il concetto in Diana superava la combinazione di outfit, gioielli, trucco e capelli. Nell’ottica di presentarsi sempre l’abito appropriato, quando andava a visitare gli ospedali, gli orfanotrofi o i posti in cui potevano esserci dei bambini sofferenti, la principessa preferiva indossare un vestito a colori vivaci che attrarre la loro attenzione, rifiutando ogni tipo di formalità.
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Uno dei più celebri è stato ribattezzato caring dress proprio da Diana. A tramandare l’aneddoto è stato David Sassoon che lo ha realizzato per un royal tour nel 1988 per Bellville Sassoon, il brand di cui era co-titolare. Inoltre, in occasione della mostra inaugurata lo scorso 3 giugno all’Orangerie di Kensington Palace Royal Style in the making, abbiamo appreso che l’abito premuroso era stato concepito con un cappello coordinato che però non ha mai messo. «Non puoi coccolare un bambino con un cappello» disse.
5. Le sue scelte sono state sempre coraggiose
Diana non ha mai subito un abito. Una volta che si infilava un vestito, concedeva a quello che in fondo era un bel pezzo di stoffa ben cucito il dono dell’immortalità. Da quella prima uscita in qualità di promessa sposa in abito nero tanto vaporoso quanto scollato firmato da Elizabeth e David Emanuel, ha cercato sempre di dare la sua impronta alle sue scelte anche quando andava incontro a un fiasco reale.
Carlo la rimproverò in quell’occasione: le disse che di nero ci si veste solo al funerale. Tuttavia, nonostante il poco brio in fatto di glamour del marito, Diana ha continuato a fare di testa sua anche quando Carlo era visibilmente scocciato dai riflettori puntati tutti su sua moglie. Tra i suoi mix più innovativi, c’è di sicuro l’abbinamento shock tra il rosso e il viola. Quando vediamo questi due colori insieme, la mente torna a quella volta in India quando una principessa solitaria si trovava seduta in una panchina davanti al Taj Mahal. Un abbinamento che ha riproposto più volte, riportato in auge, tra le altre, da Meghan Markle in tempi più recenti.
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6. La regina dell’upcycling e del re-wear
Il caring dress non è l’unico abito visto e rivisto su Diana. Anche se erano altri tempi, lei aveva già capito che un guardaroba così importante andava valorizzato, prima ancora che certe scelte venissero definite sostenibili come fanno oggi tutte le royals. Inoltre Diana amava mettere mano ai suoi vestiti svecchiandoli con sostanziosi interventi di forbici, ago e filo. C’è un abito in particolare indossato a Lisbona nel 1987 a cui sono state tagliate le maniche a favore di un corpetto con scollatura a cuore. Un po’ quello che fece Kate con quell’abito di Alexander McQueen esibito ai BAFTA del 2017 che dopo due anni ricomparve alla National Portrait Gallery con le maniche modificate.
7. Uno scrigno da ravvivare
Quando Diana, sposando Carlo, è diventata la principessa del Galles ha avuto facoltà di mettere le mani tra i gioielli della suocera Elisabetta. Tra questi c’era un girocollo di diamanti e smeraldi della regina Mary che a Melbourne nel 1985 invece di stare dove tradizionalmente avrebbe dovuto, diventò una coroncina infilata tra i capelli. E quella non fu l’unica volta: trasformò un cinturino di un orologio ricevuto in dono per le nozze dal principe ereditario dell’Arabia Saudita in una fascia per capelli con uno zaffiro al centro.
Con un pizzico di fantasia e l’apporto di gioiellieri esperti, Diana ha dato una nuova vita a diversi gioielli. L’esempio più eclatante è la spilla con l’enorme zaffiro che le era stata regalata dalla regina madre: prese la sua pietra preferita, la stessa del suo anello di fidanzamento, e ne fece una collana con sette fili di perle.
8. Con lei lo street style diventava reale
Al di là degli abiti e i gioielli che sfoggiava per le occasioni ufficiali, la vera Diana, quella paparazzata di continuo, è stata una pioniera dello street style. Colei che un giorno sarebbe dovuta diventare regina accanto a suo marito Carlo, con un paio di jeans era in stato di grazia. Considerato che Elisabetta ha indossato i pantaloni solo una manciata di volte, chissà che faccia faceva quando la vedeva ritratta sui tabloid vestita come una ragazza della sua età, ammesso che certi giornali fossero mostrate a sua maestà. Anche le foto in tenuta sportiva sembrano scattate oggi. Se c’è una che ha creduto nei ciclisti fin dal primo momento, questa è stata Diana.
9. La moda al suo servizio
Si è detto più volte che Diana usava la moda come un’armatura. Si difendeva dallo sguardo su di lei con un look potente, trincerandosi dietro un abito che la difendeva dalle sue insicurezze. Le piaceva piacere, sarebbe sciocco pensare che non fosse così: le sue scelte di stile erano in grado di parare dei colpi che altrimenti l’avrebbero ferita. E anche le sue borsette erano un’arma: le usava contro i paparazzi che non vedevano l’ora di pizzicare una scollatura troppo generosa quando arrivava agli eventi e usciva dalla macchina. Quel trucchetto lì è passato alla storia come cleavage bag, la borsa da décolleté.
10. Diana e le grandi firme
Lo stilista preferito dell’ultima Diana è stato senza dubbio Gianni Versace. Negli anni 90 l’irriverente sarto di origine calabrese aveva stretto un sodalizio con una delle esponenti più in vista della casa reale britannica, portando l’alta moda italiana là dove a quei livelli non si era mai vista. Per Versace, Diana era una delle icone che vestiva mentre lei attingeva dal brand tutta quella vitalità di cui aveva bisogno per ricominciare praticamente da capo, anche a costo di far storcere qualche naso a palazzo. Per lei Versace realizzava non solo abiti da red carpet e grandi eventi ma anche completi che diventavano su di lei dei veri power suit. I due, grandi amici nella vita, sono scomparsi lo stesso anno lasciando un vuoto enorme nel glamour mondiale.
Con i tailleur di Versace, Diana stringeva spesso tra le mani una borsa Dior che fino a quel momento si chiamava Chouchou. Non sappiamo con precisione perché la amasse così (fu un dono di Bernadette Chirac, la moglie del presidente Jacques), quello che però si racconta è che da quando il suo matrimonio era andato in crisi culminando con il divorzio, non usava nulla di Chanel, specialmente gli accessori.
Non voleva vedere quelle due C intrecciate: le iniziali di Carlo e Camilla addosso proprio non le tollerava. Non tutti i mali vengono per nuocere però. Vista la popolarità del connubio tra la borsa e sua indossatrice, la maison decise di ribattezzarla Lady Dior, un accessorio diventato una it-bag ancora molto desiderato. Ogni celebrità, reale o pop che sia, lega il suo nome a un marchio ma poche, pochissime persone hanno avuto il privilegio di dare il nome a una borsa. E questo significa essere una divinità da venerare ancora oggi.