Le strade di Ivrea: ecco via San Gaudenzio poco conosciuta, ma con una grande storia
La chiesa costruita all’inizio del ’700 sui resti del Castelletto è un gioiello barocco. Il vialetto era più lungo, arrivava fino all’altezza del parcheggio del vecchio peso
IVREA. È una via che, pur essendo in posizione centralissima, non è facile trovare per chi arriva da fuori e la cui esistenza, anche se può apparire strano, è spesso ignota agli stessi eporediesi, colpa, forse, degli alti edifici che, praticamente all’ingresso ne offuscano la vista culminante in uno uno dei gioielli barocchi eporediesi, la chiesa di san Gaudenzio.
Lontani i tempi in cui la breve altura esibiva nel verde l’edificio religioso e la vicina Casa Gillio ai quali si arrivava tra giardini e muretti su cui si innalzavano i caratteristici, candidi pilastrini in pietra e calce, oggi sulla via incombono, due enormi condomini che non riescono, tuttavia, a cancellarne completamente l’antica bellezza. Giunti, infatti, sulla soglia della chiesa e guardandosi intorno, la prospettiva cambia: da un lato, oltre il cancello di quella che fu la Casa Gillio spuntano rampicanti e piante ad alto fusto, dall’altro si succedono edifici primo ’900, ad altezza contenuta e proporzionata alla chiesa, tra i quali la via si restringe a vicolo al cui termine un pino altissimo svetta dietro a sacrestia e coro.
Da diversi anni l’associazione ricreativa-culturale i Croass del Borghet, oltre a prendersene cura, cerca, per quanto possibile, di contrastarne e denunciarne il degrado, pungolando il Comune al quale il bene appartiene, affinché non lo trascuri e trovi le risorse per salvaguardarne l’importante valore artistico, patrimonio della comunità eporediese.
Emilia Sabolo, una dei Croass, racconta la storia della piccola, ma preziosa chiesa: «Fu costruita tra il 1716 e il 1724, sui resti della fortificazione chiamata Castelletto che era stata distrutta dai francesi nel 1705. La sovrintendenza fu affidata al prevosto della Cattedrale, Lorenzo Pinchia, e la municipalità, insieme alle generose offerte dei cittadini, provvide a finanziare il cantiere. Dieci anni dopo la costruzione del corpo centrale, vennero aggiunte la sacrestia e la stanza sovrastante, mentre, nel 1742, iniziò l’edificazione dell’elegante campanile. È documentato che la costruzione fu sostenuta da un gran fervore popolare, testimonianza della devozione alla figura di San Gaudenzio, nato a Ivrea nel IV secolo dopo Cristo, periodo della prima cristianizzazione del Piemonte». «Non si conosce – continua – il nome dell’architetto che la progettò: si sono avanzate ipotesi su Bernardo Vittone, ma la sua giovanissima età all’epoca, rende credibile un suo intervento solo circa i successivi lavori di ampliamento nel 1742. Rimane, invece, più accreditata, sebbene non documentata, l’attribuzione all’architetto Carlo Andrea Guibert, la cui presenza in Ivrea nei primi anni del 1700 è testimoniata da altri interventi, quali la chiesa di San Lorenzo e il Palazzo vescovile. Luca Rossetti da Orta realizzò nel 1738 i pregevoli affreschi interni, nelle parti figurative e di quadratura. Mastro Agostino Rama fu invece l’esecutore degli stucchi». «Tra le curiosità – sottolinea Sabolo – sul gradino antistante il portale della chiesa si trova un fossile che è presente anche sulla soglia del Duomo di Novara, dedicato anch’esso a San Gaudenzio. Una leggenda, poi, vuole che la pietra su cui fu realizzato l’altare in marmo policromo, conservi l’impronta del corpo del Santo. Gli affreschi, invece, raffigurano episodi della vita e miracoli del Santo, compiuti da lui o a lui attribuiti. Malgrado un restauro effettuato intorno al 2008, essi sono purtroppo nuovamente minacciati dall’umidità dovuta alla troppo lunga chiusura della chiesa e necessiterebbero di nuove cure». «Il Comune - sottolinea - ci concede l’edificio per ospitarvi eventi culturali di vario tipo, mentre don Duretto, il parroco di San Grato, la chiesa parrocchiale del Borghetto, ne ha la cura religiosa, essendo l’edificio tuttora consacrato. In questi anni di gestione della chiesa abbiamo collaborato con altre associazioni per iniziative e attività e, soprattutto, con le scuole, portando classi di studenti a scoprirne le valenze architettoniche e artistiche, oltre alle storie del santo raffigurate sulle pareti».
All’esterno della chiesa, la breve via, che anticamente era un poco più lunga e arrivava fino all’altezza del parcheggio ricavato nella zona del vecchio peso pubblico. E che aveva, sulla destra, al numero 551, all’angolo con via Miniere, la vasta sede della ditta Pilatone e Bianco, capimastri venditori di cementi, calce, gesso, laterizi, tubi e pianelle in cemento.
L’attuale via Camillo Olivetti, realizzata nel 1936, attraversa quello che era il cortile della ditta (dove si trovava anche la casa Pilatone, rifatta con grande gusto negli anni Trenta e oggi di proprietà di Emilia Sabolo). Accanto alla chiesa corre, invece, il muro di cinta e l’ingresso di quella che fu la Casa Gillio, successivamente trasformata in villa a due piani, di cui gli studiosi Maria Grazia Imarisio e Diego Surace, nel loro volumetto Architettura del Primo ‘900 nel Canavese, evidenziano «Originali nel disegno e ricercati nella fattura sono i motivi a rostro, gli ornati a rilievo, i ferri lavorati e i lampioncini che convalidano una riuscita coerenza stilistica». La villa, che veniva concessa quale abitazione al direttore della vicina Soie de Chatillon, azienda produttrice di fibre tessili artificiali, è ancora oggi conosciuta come Villa Rollone, dal nome dell’ingegner Luigi che la abitò negli anni ‘50, malgrado sia poi appartenuta al dottor Aliberti e quindi al commercialista Giugler, attuale proprietario.