«Per nostro figlio, ventenne autistico, nessun invito a un compleanno»
Luca ha vent’anni. Ama lo sport, il disegno e la cucina. «Mio figlio è una persona fantastica, peccato che non se ne accorga nessuno. Perché è autistico», dice la mamma.
In occasione della giornata per la consapevolezza sull’autismo, che oggi si celebra in tutto il mondo, Chiara e Mirco, i genitori di Luca (tutti i nomi sono di fantasia), raccontano al Tirreno cosa significa “vivere l’autismo” ogni giorno.
I genitori di Luca si sono accorti sin dai primi mesi di vita che in lui c’era qualcosa di “diverso”. La diagnosi è arrivata quando aveva appena 18 mesi. «Non si girava quando lo chiamavamo, non ci guardava mai negli occhi. Ha una sorella maggiore – raccontano – e i loro comportamenti erano molto diversi. I dottori cercavano di tranquillizzarci, dicendo “le femminucce sono sempre più sveglie”».
Dopo alcuni controlli i medici hanno sentenziato: «Autismo». Una rivelazione che, per quanto sospettata, li ha sconvolti. «Quando si riceve una diagnosi di autismo le famiglie vanno nel panico, anche perché un disturbo non è mai uguale a un altro – raccontano i genitori di Luca – e non esiste una soluzione uguale per tutti. Per capire gli autistici dobbiamo partire dalle specificità dei ragazzi». Non si stratta, infatti, solo di autismo ad alto o basso funzionamento, ma di elementi tipici di una persona con questo disturbo e non di un’altra. I medici avevano cercato di rassicurare i genitori di Luca dicendo che, siccome il bambino era ancora molto piccolo, potevano esserci ampi margini di miglioramento se fosse stato seguito in modo corretto. Ma all’inizio degli anni 2000 erano poche le strutture nel territorio che potessero aiutarlo veramente.
«In questi vent’anni sono nati un centro per l’autismo e alcune associazioni, come le Iron mamme, che raggruppano famiglie con ragazzi autistici – racconta il padre di Luca – e, seppur tra mille difficoltà, cercano di far conoscere a tutti le difficoltà che viviamo».
Una strada tutta in salita, in cui la competenza di insegnanti e educatori è stata fondamentale. «Noi siamo stati fortunati – spiega Chiara – perché i servizi sociali ci sono stati molto vicini. Anche a scuola abbiamo sempre trovato maestre competenti e attente».
Quando Luca aveva quattro anni ha iniziato a essere seguito da una logopedista: «Si era appena laureata. Luca è stato il primo bambino che ha seguito – ricorda la mamma – ma ha fatto davvero un ottimo lavoro, e continua a farlo».
Il ragazzo, infatti, parla correttamente, ma lo fa solo per comunicare i suoi bisogni, e non per socializzare. Proprio per questo, secondo sua mamma, nessuno si accorge della bella persona che in realtà è.
«A scuola – racconta ancora la mamma – i suoi compagni si sono sempre mostrati abbastanza collaborativi, perché venivano aiutati dall’educatrice e dalle insegnanti». Ma questa stessa collaborazione non c’è mai stata fuori dalle mura scolastiche.
«Luca – dice ancora la donna – non è mai stato invitato a una festa di compleanno o a casa di un amico per un “pomeriggio di giochi”. E questa cosa lo ha fatto soffrire molto. Era solo, e purtroppo lo è ancora».
Rapportarsi con un ragazzo affetto da autismo è difficile, è una vera sfida, ma non è impossibile. «Nostro figlio ha avuto grossi miglioramenti dopo aver frequentato le colonie estive – continua Chiara – perché ha avuto modo di giocare insieme a ragazzi “normodotati”». Poter vivere a contatto con tutti, e non solo in compagnia di altri disabili, è fondamentale per poter garantire a ragazzi come Luca l’opportunità di migliorare la propria condizione e diventare autonomi.
E infatti Luca fa tutto da sé, anche a casa: cucina, stende, spazza, disegna e pratica diversi tipi di sport. La sua vita, però, è influenzata interamente da quel disturbo relazionale.
Una delle poche persone che riesce davvero a capirlo è sua sorella maggiore. «Lei è stata fantastica – racconta Chiara – ha sempre aiutato suo fratello e lo ha difeso, anche quando gli altri lo prendevano in giro». E non solo. Sua sorella è stata essenziale anche per lo sviluppo cognitivo di Luca perché gli insegna, ad esempio, a parlare anche in inglese.
Certo, il rapporto tra fratelli non può essere replicato, ma è la dimostrazione che instaurare un rapporto con un ragazzo autistico è possibile.
«Vogliamo solo che i nostri figli siano felici», dicono ancora i genitori di Luca. E rivolgono un invito a tutti: «Quando incontrate una famiglia con un ragazzo “speciale”, offritegli un sorriso e provate – senza pietismo – a instaurare una relazione. Gli autistici possono sembrare assenti o irraggiungibili, ma anche un piccolo tentativo di voler aprire uno spiraglio nella loro “corazza” può essere decisivo».
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