Omicidi di Sarzana, i genitori dell'arrestato tra dolore e silenzi: «Daniele non è l’assassino»
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Il padre racconta la vita travagliata e la redenzione: «Pulito da un anno, lavorava e basta: ecco chi è davvero»
CARRARA. Alla falegnameria la porta è chiusa. Suoniamo, arriva qualcuno, ma quella porta che si chiude alla richiesta di qualche dichiarazione è più di un “no comment”. Non c’è nulla da dire, parafrasiamo. I genitori, la famiglia di Daniele Bedini si stringe nel silenzio attorno a questa vicenda che vede il figlio formalmente indagato adesso anche per la seconda vicenda: quella di Camilla (Carlo Bertolotti, all’anagrafe, 43 anni lunigianese), oltre che in carcere a La Spezia sospettato e fermato per l’uccisione Nevila Pjetri, 35 anni originaria dell’Albania, trovata anche lei senza vita a Marinella di Sarzana. Oggi a La Spezia Daniele parlerà nell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice. Intanto il telefono di papà Stefano suona, ma poi parte la segreteria.
È un refrain che dura buona parte della giornata. Poca voglia di parlare, è evidente, dopo che il quartiere dello stadio, dove sorge la storica falegnameria di famiglia, si è stretto attorno, ha fatto quadrato, e ha voluto restituire uno storytelling diverso del “suo” Daniele, rispetto a quelle ricostruzioni che delineano scenari hanno scosso una comunità. Il Daniele, vogliono ribadire e far emergere, che con il padre andava in falegnameria e insieme portavano nelle segherie di Carrara le più belle pompeiane. Il Daniele amante del karate, del suo cane, della palestra e dei motori. Poi però arrivano i guai con la giustizia e anche con la droga. Un “detonatore” sottolineato anche da alcuni conoscenti a creare un prima e un dopo. A segnare una “cesura”.
«Ha avuto i suoi problemi con la droga, è vero, ma da un anno era pulito, ha intrapreso un percorso e ne è uscito in modo brillante. E anche la condanna per rapina ha tanti punti da chiarire (quella alla sala slot del 2019, a Fossola, ndr)», precisa però il padre. Lo fa con Repubblica. E aggiunge ancora: «Da un anno lavora otto ore al giorno con me, i clienti lo considerano bravissimo. Io quando ha preso una brutta strada lo ho guardato negli occhi e gli ho detto se vuoi vivere con noi, in questa casa, devi cambiare. L’ho visto negli occhi da fatto e lo ho visto da pulito, come era ormai da tempo. Io sono la migliore “scientifica” che possa esserci», insiste sempre a Repubblica papà Stefano che non accetta la ricostruzione che sta emergendo sul figlio. «Mi chiedo – dice inoltre – perché non gli abbiano fatto un esame tossicologico, sarebbe risultato perfetto».
E nel frattempo, oggi suo figlio – assistito dal legale Rinaldo Reboa – avrà l’interrogatorio di garanzia nel tribunale spezzino. Attraverso il suo avvocato, il 32enne artigiano, si è sempre dichiarato estraneo ai fatti che gli vengono contestati. l
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