Sessanta secondi cronometrati alla moglie per scegliere: «O il sesso o le botte»
Dopo 13 anni di violenze la donna ce l’ha fatta a fuggire e denunciarlo. Per l’uomo, residente da anni in Lunigiana con la famiglia, è stato chiesto il rinvio a giudizio
LUNIGIANA. Sessanta secondi, scanditi timer in mano, per decidere se prendere le botte o acconsentire a un rapporto sessuale. Un minuto interminabile, per capire se valesse più la sua dignità di donna o un viso tumefatto. È questo uno dei passaggi più crudi che la Procura di Massa ha messo nero su bianco nell’indagare un uomo di 45 anni con l’accusa di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia, nei confronti della compagna, aggravati dalla presenza di una bambina piccola. Per l’uomo, residente da anni in Lunigiana con la famiglia, è stato chiesto il rinvio a giudizio e la prossima settimana si svolgerà la prima udienza preliminare in cui il suo avvocato, Daniel Monni, tenterà la via del rito abbreviato. È stata la donna, alla fine di un lungo calvario, a denunciare quanto accadeva in casa: episodi continui di violenza, percosse e minacce, soprattutto quando il marito assumeva cocaina, e accadeva spesso. «Impostava il timer a un minuto», raccontò la donna ai carabinieri, «e mi diceva che alla fine del tempo, se non avessi acconsentito a un rapporto sessuale con lui avrebbe iniziato a percuotermi». E quella notte la donne fu picchiata, ripetutamente, con pugni allo stomaco e sulla schiena, così forti che alla fine – racconta agli inquirenti – dovette cedere, prestandosi a un rapporto violento e doloroso, tanto quanto le botte che aveva ricevuto. Il tutto mentre le due figlie dormivano nella stanza accanto.
Violenze e maltrattamenti iniziarono nel 2008, quando l’uomo perse il lavoro e tentò la fortuna aprendo in tempi diversi due attività diverse, i cui proventi finivano tutti però, secondo la moglie, nell’acquisto di sostanze stupefacenti «delle quali non poteva fare a meno». Calci, pugni e strattonamenti, i capelli tirati dalla testa, un ceffone così forte – tanto da farle fischiare l’orecchio per giorni – perché la donna voleva lasciare il suo posto di lavoro. Poi, la chiudeva fuori di casa, lasciandola sul pianerottolo in pigiama. L’uomo era violento anche con le figlie, soprattutto quella più grande che fu presa a pugni nello stomaco dal padre, per il solo fatto che aveva lasciato scappare il cane fuori dal cancello. «Ho avuto il sospetto», dichiara la donna nelle sue denunce, che mio marito si recasse a comprare la droga con la nostra figlia più piccola». Un clima di terrore così riassunto: «Non ho mai parlato con nessuno, non mi potevo confidare e non andavo mai al Pronto soccorso. Temevo che ci avrebbe fatto ancora più male. Mi accertavo che le bambine stessero bene e non fiatavo». Tredici anni di abusi e sofferenze, fino a quando la donna non decise di trasferirsi a casa dei genitori, lontano dalla Lunigiana, portando con sé le due bambine. Ma lui andò a riprendersele: «Guarda che se non torni a casa finisce male», gridava mentre la donna, incautamente lo stava accompagnando in auto alla stazione per fargli prendere il treno, con lui che le prendeva il volante tra le mani e tirava il freno a mano rischiando un incidente stradale nonostante a bordo ci fossero le figlie. Un episodio finito con la donna in mezzo alla strada a cercare di fermare qualche automobilista e chiamare il 112, mentre lui scappava nei campi. Non sono mancati negli anni gli episodi di autolesionismo per evitare di essere lasciato: «Rispondimi, non sto in piedi», scriveva in un messaggio; «Ora vado a morire in un prato se non mi chiami»; «Mi stai distruggendo, non mi fai vedere le mie figlie». Nell’agosto 2021 il pubblico ministero firmò la misura cautelare dell’obbligo di distanza dalla moglie che contestualmente ottenne la separazione e l’affidamento esclusivo della figlia più piccola. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio dell’uomo e la prossima settimana si discuterà l’udienza preliminare davanti al gup.