Livorno, l'ingegnere eroe che ha salvato due bimbi in mezzo alle onde. «Li ho presi sotto braccio e portati a riva»

«La mamma gridava sulla riva, il padre era ancora in mare e la corrente lo stava trascinando al largo. Abbiamo sentito gridare aiuto e mi sono tuffato un’altra volta. In questo caso ho aiutato tre bagnini, che sono arrivati lì dagli stabilimenti vicini. Così abbiamo tirato l’uomo fuori dall’acqua»

LIVORNO. C’erano le onde, alte. E c’era la corrente. Sulla costa sventolava bandiera rossa. L’ingegner Alfredo Adinolfi Borea era sotto l’ombrellone della spiaggia libera nella baia del Quercetano, a Castiglioncello, quando ha sentito delle grida. «Aiuto, aiuto, non riescono a tornare a riva». In acqua c’erano una ragazzina di circa 15 anni e il suo fratellino di 10. Erano a una quarantina di metri dalla riva, non riuscivano a rientrare e rischiavano di essere scaraventati sugli scogli dalle onde. Il padre ha provato a salvarli, ma sembra non sapesse nuotare troppo bene, perciò è rimasto "intrappolato" in acqua anche lui. A salvare tutti ci ha pensato Borea, trentenne ingegnere gestionale in forza all’ospedale di Livorno con un passato da nuotatore. Prima ha raggiunto i bambini, poi ha contribuito a salvare il padre. Ma partiamo del principio.

Ingegnere, intanto dove e quando è successo?

«Sabato scorso (25 giugno, nda), alla baia del Quercetano».

Stabilimento balneare o spiaggia libera?

«Spiaggia libera, non distante dai bagni».

Non c’era il bagnino sulla spiaggia libera?

«No, a un certo punto sono intervenuti tre bagnini dei vicini stabilimenti. Ma dove eravamo noi il bagnino non c’era»

Lei a un certo punto ha visto due persone che, in mare, non riuscivano più a tornare a riva, giusto? Poi cosa è successo?

«Saranno state le 15 del pomeriggio. In acqua, nonostante la bandiera rossa, c’erano una bambina di circa 15 anni e un bambino di 10. Il padre diceva loro di tornare a riva, ma non riuscivano. Allora è entrato in acqua per aiutarli».

Ma non ce l’ha fatta

«No, non sapeva nuotare bene. Perciò faceva qualche passo avanti e altrettanti indietro, anche perché le onde erano forti. Era bloccato».

È a quel punto che ha deciso di intervenire?

«Ho fatto vent’anni di nuoto e non ci ho pensato due volte. I bambini erano al largo per una quarantina di metri. Detto così possono anche sembrare pochi, ma consideri che il mare era mosso, le onde erano piuttosto alte e c’era tanta corrente. Al Quercetano, poi, ci sono anche gli scogli. Il rischio è quello di finirci contro».

Come ha fatto a portare i ragazzini a riva?

«Ho preso entrambi i bambini. Ne ho messo uno sotto un braccio e uno sotto l’altro e ho iniziato a muovere le gambe a rana verso riva. Arrivato più vicino alla costa mi sono fermato e li ho tenuti tutti e due fuori dall’acqua. È a quel punto che mi ha raggiunto un ragazzo. Lui ha portato a riva il bambino, io la bambina. Le ho detto di aggrapparsi alla schiena e l’ho portata fuori dall’acqua».

Come stavano?

«Avevano bevuto un po’ d’acqua, ma stavano bene. Più che altro erano spaventati e sotto choc».

I genitori?

«La mamma gridava sulla riva, il padre era ancora in mare e la corrente lo stava trascinando al largo. Abbiamo sentito gridare aiuto e mi sono tuffato un’altra volta. In questo caso ho aiutato tre bagnini, che sono arrivati lì dagli stabilimenti vicini. Così abbiamo tirato l’uomo fuori dall’acqua».

C’è stato bisogno di chiamare un’ambulanza?

«No. Il padre aveva bevuto dell’acqua e, una volta raggiunta la riva, l’abbiamo sdraiato su un fianco in modo che la vomitasse. Poi l’abbiamo coperto ed è arrivata anche la guardia costiera. A quel punto l’uomo si è ripreso e non è stato necessario chiamare l’ambulanza».

A situazione conclusa ha parlato con loro?

«La moglie assisteva il marito e i bambini erano sotto choc, perciò mi sono fatto da parte. Non c’è stato modo di scambiare qualche parola. Erano italiani, comunque. Dall’accento mi sembravano della zona. Sono rimasti al Quercetano un altro paio d’ore, poi se ne sono andati».

Non saranno mica tornati di nuovo in acqua?

«No, no, assolutamente. Sono rimasti a riva».

Non ha avuto nemmeno un po’ di timore a tuffarsi in loro soccorso?

«Io ho praticamente vissuto in acqua, perciò non ci ho pensato un minuto. Mi è sembrato naturale tuffarmi per aiutarli. Ho creduto che fosse la cosa giusta da fare. Ma effettivamente quando sono entrato in mare non si stava tuffando nessuno. Devo dire però che la corrente era molto forte. L’avevo sottovalutata all’inizio. Quella zona della costa può essere pericolosa in giornate come quella di sabato».

Perché dice che ha vissuto in acqua?

«Sono un atleta. Ho fatto vent’anni di nuoto, in particolare stile libero e ho partecipato anche ai campionati nazionali anni fa. L’ho fatto con società di Modena, la mia città d’origine».

Ma adesso vive a Livorno, da quanto tempo?

«Due anni e mezzo. Ho fatto il concorso e ora lavoro come ingegnere gestionale alla direzione generale (nella struttura di viale Alfieri, ndr). Volevo fare un’esperienza al mare e ho scelto l’ospedale di Livorno».

Anche gli ingegneri dunque salvano le vite

«Anche gli ingegneri. A volte capita».

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